Cielo nero, pioggia in arrivo. Moglie al marito: “Non trasu, mallordu i scarpi”. Prime goccie, seconda moglie con consorte: “Amuninni, turnamu a casa”. Terza coppia, questa volta il marito, notevolmente antirenziano, a compagna devota: “Lassulu futtiri”. Invece entriamo e Fausto Raciti, il segretario regionale del Pd, si presenta sul palco: “Benvenuti alla festa dell’Umidità ”. La festa ha i metri quadrati contati, un popolo rinchiuso in pochi bus, piuttosto festante nelle prime file, preso dalla noia nelle ultime. Saremo in tremila, cento volte in meno, e doveva andare male, di quelle che correvano ad ascoltare Berlinguer. Il tempo passa e si vede. Quel che resta del Pci siciliano è Mirello Crisafulli, intramontabile figura di dirigente-possidente del partito nello spicchio di terra più povera, la provincia di Enna, poi accompagnato alla porta e oggi seduto, col pancione di sempre e un miniventilatore incollato alla faccia, nel suo fantastico stand di promoter della personale Università, disegnata da sé medesimo a Enna. Facoltà di medicina in lingua rumena, succursale italiana di quella di Galati, nessun blocco per gli studenti. Chi vuole entra. Avanti popolo. Ascolta Renzi. Gli siedo accanto. Gli altoparlanti non arrivano: “Mi basta il rumore, non è necessario seguire parola per parola. Adesso sta dicendo che lui vota Si al referendum. Anch’io voto Sì, seguo sempre la linea del segretario. Ho votato secondo le indicazioni anche quando mi hanno cacciato dalle liste. Tengo al partito. Adesso sta parlando di cose inutili, l’unica curiosità vera è quanti bus sono riusciti a fare. Aspettiamo la fine del comizio: se tutti fuggono via vuol dire che hanno da rientrare a casa”.
DUE RENZIANI indispettiti : “Embè? Anche la Camusso portò la claque”. Mirello, imperturbabile: “Lo sento scarico”. Cioè? “Ha fatto un mezzo casino con la scuola. È riuscito a dare 150 mila posti di lavoro e a trovarsi tutti contro. Se perdi la scuola perdi le elezioni. In ogni famiglia italiana c’è qualcuno che insegna”. Tre compagni da Floridia, provincia di Siracusa. Delegazione capeggiata dal sindaco Orazio Scolorino: “Sono senza maggioranza e nemmeno la voglio. Devo trattare a turno con i consiglieri comunali. Ognuno ha una esigenza da soddisfare. Non è un granché. Ma meglio fare il sindaco così che avere un partito che ti accoltella”.
Crisafulli, ora meno sudato: “Sta urlando, lo senti come urla? Ma un leader non urla, parla piano, pennella”. Passano trenta dipendenti della provincia di Siracusa. Marco, 52 anni, impiegato nell’ufficio urbanistica: “Da giugno non riceviamo lo stipendio. Quel buffone di Crocetta disse che la Sicilia era la prima regione a far sparire le Province. Siamo spariti noi invece”. Mirello Crisafulli, riflessivo: “Renzi non ha brio, è come se avesse esaurito la spinta propulsiva. Corre di qua e di là ma senza costrutto. Vuoi pensare, dico tanto per dire, che se togli gli incentivi alle imprese quelli non assumono più? Sto job act è una rovina”.
Papà con figlia al seguito, interessata all’università rumena: “Senatore, una preghierina”. Mirello: “Dammi un momento”. Signora stanca: “Che afa cu stu cavuru…”. Renzi-Archimede: “Datemi una leva e vi cambierò il mondo”. Due poliziotti conducono per mano due manifestanti anti Muos: “Vi dobbiamo identificare”. Il premier: “Non dobbiamo avere paura delle contestazioni. Siamo il partito democratico”. Professoressa in tenuta da battaglia: “Sei un buffone!”. Giovane dem: “Dobbiamo cambiare l’Italia!”. Crisafulli: “Qui parecchia gente l’ha portata una coppia di ragazzi molto volitivi, che stanno con Cuffaro”. Si chiamano Luca Sammartino e Valeria Sudano, e sembra che abbiano fatto il lavoro che ci si aspettava da Enzo Bianco, sindaco un po’ in disarmo della città (stanotte comparsi molti manifesti di protesta: “Bianco vattene”).
Ancora Crisafulli piuttosto annoiato: “Comunque a me la Festa è andata bene. Ho fatto il contratto, ho pagato quel che dovevo e con lo stand ho intercettato un sacco di gente”. Una bomba carta – sembra dei tifosi del Catania che si son visti togliere la partita –gara sospesa per via della concomitante presenza di Renzi, saluta il premier davanti all’ingresso. I celerini mostrano i manganelli, qualcuno li usa pure. Poi il fortino catanese viene liberato, la città saluta felice Matteo che parte.
Da: Il Fatto Quotidiano, 12 settembre 2016