MARIA ELENA VUOL RIFARE L’ITALICUM: E LA FIDUCIA?

Dal momento che in politica non contano i fatti, figurarsi le parole, la ministra per le Riforme e per i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi è riuscita due giorni fa, in un’intervista a La Stampa, a superare i limiti della ragione e della logica. Ha infatti detto, senza curarsi non solo della memoria ma dei divieti che la nostra e anche la sua intelligenza può infrangere, che la legge elettorale, il cosiddetto Italicum, potrà essere cambiato dal Parlamento.

La ministra ha dimenticato che non solo è sua la firma politica sul testo ma per la sua bocca la legge elettorale è stata fatta oggetto della richiesta di fiducia al Parlamento da parte del governo. La fiducia è quell’istituto a cui l’esecutivo fa ricorso quando ritiene la propria esistenza legata indissolubilmente all’approvazione di uno specifico e cruciale provvedimento.

E perché la legge ora può essere cambiata? Perché la giudica pericolosa nella iniqua distribuzione dei seggi, nel diverso peso che il voto dei singoli cittadini produce a seconda che scelgano questo o quel partito, nell’esagerato premio di maggioranza che si affida a chi si piazza primo anche non raggiungendo il trenta per cento dei consensi?

Nient’affatto. La legge si cambia per due considerazioni. La prima è tattica: trascinare al Sì al referendum la riottosa e corposa minoranza del Pd. La seconda, strategica, è che i sondaggisti hanno previsto la vittoria dei 5Stelle con l’Italicum. Si sono fatti la legge e ora rischiano persino di non vincere! Questo a luglio, perché a settembre le cose potrebbero essere già cambiate e chissà, la Boschi, di fantasia in fantasia, potrebbe anche prevedere e proporre, in una nuova mirabile intervista, una validità mensile dell’Italicum, proprio come l’abbonamento all’Atac. Se c’è pericolo che si perda la cambiamo a ottobre. Tanto poi viene novembre…

Da: Il Fatto Quotidiano, 8 settembre 2016

Di Maio china il capo. Beppe incorona in piazza Di Battista

dimaioLa piazza dell’orgoglio cinquestelle diviene insieme la piazza del perdono e anche delle scuse. Davanti al porto di Nettuno, nella città appena conquistata dal Movimento, Beppe Grillo conduce il direttorio a sfilare, spiegare, scusarsi e naturalmente attaccare.

È INTESTATA a Maria Goretti, la santa del perdono, la piazza che si affolla di militanti convocati all’ultima ora possibile per il grande e imprevisto appuntamento con la storia. Viene Beppe Grillo e porta per mano i membri del direttorio, i loro vice, i graduati e i peones romani sul palco. “Qualche cazzata l’abbiamo fatta, diciamo qualche cazzatina”. Nel tuono di un eloquio notevolmente arrembante, teatrale, dove ricompare un vaffanculo, e la parola “ladri di verità”, nel comizio che si chiuderà poi al sempiterno grido di “onestà onestà”, quella frase, la cazzata cioè fatta, anzi più d’una, è il sigillo dell’errore commesso, della catena di comando spezzata, della confusione e dell’ambiguità dentro la quale il Campidoglio sta vivendo giorni di sofferenza e anche di umiliazione. Ed è stata certamente dura per Luigi Di Maio, il leader in pectore, il premier in arrivo, dover ammettere un grave errore di valutazione, il primo vero colpo a una carriera finora condita dagli applausi. “Dovete sapere che ho pensato che l’iscrizione venisse da un esposto di uno del Pd. Ho commesso un errore, ho sottovalutato che quell’iscrizione venisse da uno del Pd. E non l’ho detto ai miei colleghi del Direttorio. Non l’ho detto a Roberto, Carlo, Alessandro e Carla e sono qui a guardarvi negli occhi e a dirvelo”.

ERA COME se una pinza gli cavasse di bocca i nomi e la corsa a chiudere il periodo, a terminare la frase è stata equivalente alla durezza con la quale Roberto Fico ha spiegato, sempre sul filo della metafora, che l’imborghesimento, “il rischio della giacca e della cravatta”, la nuova realtà di entrare a Palazzo, possedere un potere mai visto e nemmeno immaginato, abbia potuto far deviare dalla retta via. “No i siamo il nuovo umanesimo e non è possibile chiudere una Utopia in una gabbia”, ha detto raccogliendo grida di ammirazione. Quale è la gabbia dorata? Certamente il Parlamento, e naturalmente il Campidoglio dove i poteri (i poteri forti) le pressioni, le ambizioni e anche le devianze di qualcuno hanno fatto sì che si parlasse “solo di sms, con tutto quel che ci sta di fronte, che sta succedendo”. Nella gerarchia odierna Di Maio scende uno scalino, uno ne sale Fico, due invece Di Battista. Al quale Grillo dona una standing ovation “per i cinquemila chilometri che si è fatto”. È Di Battista a concludere la serata, alleggerendo il peso dell’errore e della bugia in un discorso molto aggressivo: “Ma li vedete? Ma avete capito chi sono? Ma vi hanno detto cosa sta succedendo in Italia, vogliono cambiare i diritti in bonus, chiudere gli ospedali, e cambiare la Costituzione in fretta perché sanno che stiamo arrivando noi. Noi siamo la polizia, loro i ladri”.Continue reading