È questa la grande piattaforma di cemento che mangia il mare di Taranto e progredisce verso i frutteti della Piana di Metaponto, è qui che devono trovare ospitalità le migliaia di barili di greggio di Tempa Rossa e il gas (al giorno 230 mila metri cubi). L’Ilva alle spalle, la città alla sinistra e il fumo in cielo. Anche per aiutare questa piattaforma fu ideato lo Sblocca Italia, la legge che definendo di preminente interesse nazionale e strategiche le grandi opere avoca a Roma ogni potere e decisione finale. Nel grado di preminenza non c’è alcun dubbio che l’economia del petrolio abbia avuto la meglio sulla tutela della salute pubblica. Malgrado l’azienda regionale di protezione ambientale avesse fatto conoscere il sicuro aumento del 10-12% delle emissioni nocive in una città già piegata dalle morti per tumore, la Regione Puglia dà il suo parere e ritiene l’opera compatibile con l’ambiente. È il 2011. Quando si deve pronunciare la città di Taranto, e si sa che sarà un no, arriva la norma che tapperà la bocca. Prima della legge giunge però una nomina, da parte dell’Eni. Il nuovo responsabile dei rapporti con gli enti locali si chiama Francesco Manna, avvocato e, guarda un po’, ex capo di gabinetto del presidente della Regione Nichi Vendola. È il 1° settembre 2013. Ed è la prima intersecazione tra politica e affari che il grande fiume nero dalla foce porta verso la sorgente.
LA FOCE DEL PETROLIO dista infatti 150 chilometri dal luogo in cui sorge, cioè Viggiano, nella periferia meridionale della Lucania, a sua volta periferia d’Italia. Ciò che succede in Basilicata Saudita, dove circa il 65% del suo territorio è vincolato alle possibili e future attività di prospettazione, non frega a nessuno. Questa Regione diviene presto discarica, raccoglitore dei reflui petroliferi, anche quelli pericolosi, anche se non trattati, cinghia di trasmissione di subappaltatori agguerriti e senza scrupoli. Queste le parole del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti due giorni fa: “Dispiace rilevare che per risparmiare denaro ci si riduca ad avvelenare un territorio con meccanismi truffaldini”. Al veleno si giunge dopo i campi di pesche e di mandarini, virando a est si imbocca la superstrada basentana che taglia la regione al centro e la divide in due spicchi. Dritta e deserta, avanza attraverso i calanchi del Materano, le colline dolci, le fiancate pietrose, l’orizzonte largo. All’altezza di Pisticci il Tecnoparco, il punto del disonore. Qui la raccolta dei reflui, il grande catino, l’epicentro del rifiuto, il punto d’inizio dell’indagine giudiziaria. Si deve al coraggio e alla tenacia del sindaco di Pisticci Vito Di Trani se l’inchiesta ha avuto un gancio. Si deve alla fede nella sua scienza, lui che è medico, se ha anteposto ai bisogni e ai calcoli della politica, e in questo caso anche del suo partito, il Pd, le necessità della propria gente. “Io non sono contro il petrolio, sono contro i veleni. Sono obbligato a tutelare la salute pubblica, anche dei dipendenti del Tecnoparco”. Il fetore, e il timore che i rifiuti fossero non trattati, che alla luce di quel che è accaduto era più che una premonizione, hanno indotto il sindaco a chiedere continuamente i controlli e arrivare persino a bloccare le attività. Risultato? Nell’ultimo anno due auto date alle fiamme. La via del petrolio è una strada costellata dall’intimidazione sistematica: ora – se sei imprenditore –di essere escluso dalla gara, ora – se sei in cerca di lavoro – di essere escluso dalla lista degli assunti, oppure –se sei solo rompiscatole – di finire in tribunale, com’è capitato a una docente dell’università che ritroveremo tra qualche chilometro, sulle colline di Montemurro. Al sindaco ribelle tocca l’avvertimento di tipo mafioso. Lui patisce il danno nello stesso periodo in cui invece Matera fa festa. Perché forse anche strategicamente, la città viene designata capitale della cultura 2019. E si sganciano 100 milioni di euro.
LA CITTÀ è distratta e distante quando decine di comitati locali si danno appuntamento sotto la Regione per invitare il governatore Marcello Pittella a impugnare lo Sblocca Italia. Eppure, è dicembre del 2014, nella più grande manifestazione lucana contro le trivelle Matera diserta. Pittella rifiuta di opporsi a Renzi. Predilige il negoziato: cioè soldi per risarcire il danno. Quanti? Le royalties, forse, saranno aumentate del 3%. In 10 anni la Lucania ha ottenuto un miliardo di royalties e cosa ne ha fatto? Non si sa, non si vede nulla. Il calo demografico prosegue impressionante, i talenti fuggono, l’occupazione è limitata nell’epicentro petrolifero. La strada del petrolio taglia la Val d’Agri. In fondo si vede Viggiano e il fantasmagorico centro olii: fumi, fiamme e puzza. Qui è l’Eni. Lì, a Corleto, la Total. E infine a Montemurro lei, Albina Colella, docente universitaria. Che aveva denunziato l’avvelenamento delle falde, l’iniezione nel sottosuolo di liquido sporco. Ieri la procura ha ordinato i sigilli proprio a quel pozzo, non più produttivo, ma buco utile per la reiniezione dei reflui. Siringa, forse avvelenata, dentro la terra.
Da: Il Fatto Quotidiano, 2 aprile 2016
Caro Antonello con Di Trani hai preso una brutta sbandata: sei caduto nella trappola PD, se vuoi potrei rispondergli