ALFABETO – FRANCO CARDINI: “A noi italiani della giustizia sociale non frega nulla”

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Vogliamo dircelo? Gli italiani sono dei trasformisti nati e Matteo Renzi, che sostengo convintamente perché mi sembra svelto e sveglio, è maestro della manovra parlamentare. Mi ricorda, e non voglio scuotere la suscettibilità di alcuno, il Mussolini del 1924. È un grande manovratore e trova in Parlamento tutto ciò che desidera: le umane debolezze, i sogni di gloria, la vanità, l’interesse, perfino l’incompetenza. È una giungla dentro la quale si muove dare”.

Franco Cardini non è solo uno dei maggiori medievalisti che possiamo esibire, è anche appassionato di politica, annotatore degli usi sociali, delle private e pubbliche debolezze. È toscano ma di destra, ama la cucina, la polemica, il parlar chiaro.

Matteo, il suo amico, il re della giungla, ha appena cooptato Denis Verdini, capitano della squadra dei trasformers.

Sul punto dico questo, devo dirlo e mi spiace per Matteo. Persino per fare il portiere di condominio, aprire e chiudere il portone del palazzo e recapitare diligentemente la posta, ti richiedono i carichi pendenti. È insopportabile che solo chi governa sia svincolato da una minima misura di moralità. Mi pare un tantino esagerato, lei che dice?

Dico che ha ragione.

Ho ragione, ma agli italiani che frega? Si interessano alla politica solo sotto elezioni. E i politici promuovono le loro idee soltanto quando sono in campagna elettorale. E le loro idee, badi, sono ristrette alle alleanze. Con chi mi unisco questa volta?

Ha visto Berlusconi che scherzetto ha fatto alla Giorgia Meloni?Continue reading

Pouf, cessi e tagliatelle: la corruzione è un’arte

Ogni corrotto ha un gusto, un’età e un autore a cui è affezionato, una passione travolgente che l’ha convinto a infrangere le regole, favorire l’uno o l’altro pur di sentire suo l’artista.

Alcuni giudici brasiliani hanno pensato di far condividere al popolo l’estetica della politica e raccogliere in un grande allestimento al Mon (Museo Oscar Niemeyer) di Curitiba l’arte confiscata, cioè il frutto della corruzione. Finora, riferisce La Nacion, sono 272 i mirabili pezzi esposti e danno il senso di quale sia per il potere l’affezione ai grandi che hanno dipinto ed emozionato il mondo.

I giudici hanno fatto come quei cacciatori d’Africa: esibito i loro trofei e insieme, pietra su pietra, raccolto le prove che non solo la corruzione è un’arte ma che dalla corruzione può rinascere l’arte. In Italia da anni lavora alacremente e con buoni risultati l’Agenzia nazionale che gestisce la confisca ai malandrini di ogni risma, organizzati e anche disorganizzati, i frutti della loro pratica criminale.

CASE, TERRENI, pure quadri, naturalmente automobili di diversa metratura e valore, e ogni altro ben di Dio. Riferimmo poche settimane fa di una leonessa, oggetto del desiderio di un camorrista con il piacere di una Savana benigna e casalinga, che lo Stato è costretto a sfamare in un pensionato per animali degli Abruzzi. E non aggiungiamo di serpenti a sonagli, uccelli tropicali, pesci rari che il nostro governo ha identificato e sottratto alla malavita. Ciò che manca in Italia, e l’iniziativa brasiliana potrebbe suggerirne la realizzazione, è un polo espositivo, magari guidato da un manager attento e motivato, dove ammirare, diciamo così, il deposito culturale della corruzione. Far vedere cosa i corrotti sono riusciti a chiedere per sé e grazie ad essi (bisogna sempre ringraziarli) quale emozione il Paese riuscirebbe a donare a tutti noi. Il problema è che le nostre carceri non paiono ospitare corrotti e che i processi alla classe dirigente, come giustamente si dispera il premier Matteo Renzi, languono nei corridoi delle Procure. E poi: cosa potremmo o dovremmo ammirare? Il cesso di Mario Chiesa, l’antesignano di Mani Pulite? Certo, a pensarci, quel water, dentro cui tentò di disperdere i soldi inguattati, avrebbe un suo senso. Frustrante però. Buttare i soldi al cesso è la metafora dello spreco. E invece il corrotto non spreca, raccoglie.

TOLTI DI MEZZO i conti correnti, beni troppo immateriali, potremmo, dovremmo accontentarci allora del pouf di Duilio Poggiolini, il famoso Re Mida della farmaceutica di Stato, a cui furono sequestrati nella lunghissima maratona della polizia giudiziaria durata dodici ore, lingotti, dipinti, soldi, gioielli e i relativi scrigni, tra cui il magnifico pouf. Il pouf esposto sarebbe prova comunque tangibile di un ingegno vivo. Per restare in tema, Giancarlo Galan, l’ex Doge del Veneto a cui ieri, purtroppo, la Camera ha inflitto la decadenza da deputato in seguito alle vicissitudini giudiziarie, aveva fatto smontare finanche dei rubinetti del bagno la sua villona prima di consegnarla allo Stato.

I rubinetti di Galan, seppure non scrigni d’arte, potrebbero giocare un ruolo decisivo lungo la via della metafora: aprire il rubinetto sarebbe come leggere nel portafogli e magari andare, almeno con la mente, ai conti di Franco Fiorito, l’ex consigliere del Lazio, che aveva acceso conti correnti dappertutto e dentro i quali infilava soldi non suoi. E acquistato ovunque case e anche belle auto.

MA COSA si potrebbe esporre di simbolico per ricordare degnamente l’era del regionalismo in Italia? Forse un bel piatto di tagliatelle. Le tagliatelle di Pasqualino al Colosseo, il luogo in cui Fiorito chiamava al convivio, al piacere del palato e, insomma, al teatro della vita.

Da: Il Fatto Quotidiano, 29 aprile 2016303

ALFABETO – PIER LUIGI PETRILLO. Il docente della Luiss: “Non dare regole significa restare sul cordolo della legalità. Così fa comodo”

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A scuola di lobbying con Pier Luigi Petrillo che insegna sia la teoria che la tecnica dell’influenza del privato su chi governa il bene comune, chi decide, chi sceglie. “Già intravedo l’ombra di una preoccupazione, il fumo della polemica”.

Il lobbista si è meritato in anni di traffici sporchi la nomea del cattivo, del faccendiere, del trafficante di interessi illeciti.

Tutto giusto e tutto vero. Ed è il frutto di una scelta deliberata della politica che mai ha voluto che questa attività fosse esercitata in modo trasparente e pulito. Prima i partiti contenevano nel loro corpo gli interessi di particolari ceti e professioni e dunque, diciamo così, li regolamentavano intra moenia. Quando hanno perso appeal nella società hanno continuato a tenere al buio delle stanze chiuse i contatti e i raccordi.

Se le stanze sono chiuse e i discorsi sono segreti ritorniamo al vizio primordiale del lobbying: premere per far passare come interessi pubblici affari privati.

Se la politica, come abbiamo appena detto, non ha voglia di rendere lecita e trasparente questa professione è perché dovrebbe rispondere pubblicamente dei suoi atti, delle proprie frequentazioni, dei sì e dei no che dice. Dovrebbe assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. Esempio: i farmacisti hanno tutto il diritto di spiegare le loro ragioni e spingere affinché la legge che regolamenta il loro settore vada in un senso o in un altro. Ma è giusto che il cittadino conosca sia il tipo di pressione esercitata su un provvedimento, sia le motivazioni del gruppo che le esercita sia la posizione del governante. Accoglie? Rigetta? E con quali motivazioni?

Invece l’ombra.

Non dare regole a questa attività significa tenerla sul cordolo della liceità, nel mezzo della luce e del buio, sul filo del pulito o se preferisce dello sporco. È una convenienza politica, ed è così chiaro che le aggiungo questa breve notazione.

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Promossi e bocciati. I protagonisti della battaglia referendaria

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MATTEO RENZI. Vince il referendum sulle trivelle, ma fa la figura di chi aspetta l’ultima partita di campionato prima di dichiarare per quale squadra tifa. Spiega che il quesito è una bufala ma fa spendere trecento milioni di euro pur di non accorparlo alle comunali e assicurarsi così in anticipo il suo fallimento. Il carattere non lo fa vivere senza avere un nemico da battere. Invece di starsene in silenzio sceglie di promuovere, da presidente di tutti gli italiani, la diserzione di massa. Qualcuno glielo ricorderà quando a giugno dovrà chiedere di non andare al mare e dire che alle urne è bello. Poteva però andargli molto peggio se i votanti avessero raggiunto non dico il quorum, ma almeno la soglia del 40 per cento. Voto 6 IPERFURBO

MICHELE EMILIANO. Nelle mani del governatore della Puglia cascano i due milioni di voti di simpatizzanti del Pd che, secondo i sondaggisti, hanno contravvenuto all’ordine renziano. Utilizza l’isolamento nel quale lo cacciano i suoi otto colleghi presidenti di Regione che se la sono date a gambe un minuto dopo il diktat del premier, per rappresentare da solo l’opposizione a Matteo. Il quale, imputandogli la sconfitta, gli riconosce paradossalmente una leadership che nessuno gli voleva assegnare. Se è scaltro può intestarsi la guida di un nuovo ambientalismo, sentimento antico che oggi diviene urgenza assoluta, paura quotidiana. Voto 7 AUDACE

SERGIO MATTARELLA. Ancora non si è capito se è il presidente della Repubblica o un turista al Quirinale. Sceglie la terza età come categoria permanente della sua interlocuzione quotidiana. Dà consapevolmente alle fiamme ogni ipotesi di presenza attiva sulla scena politica fino ad attendere il buio delle tenebre per andare a votare. Incontestabili il rigore e l’onestà di una vita pubblica lunga e fruttuosa, resta il quesito di fondo: parlerà mai? La terzietà è una virtù ma deve essere esercitata altrimenti diviene inconsistenza e si trasforma in vizio. Voto 5 SENZA VALUTAZIONE

LUIGI DI MAIO. La morte di Gianroberto Casaleggio è troppo recente per non farsi sentire sullo stato di forma dei 5Stelle. Fuori sincrono durante tutta la partita referendaria, i grillini hanno sprecato occasioni da gol per stare in campo da protagonisti. Luigi Di Maio ha accettato di correre per la leadership però ha dimenticato – per esempio – che il Movimento aveva la presidenza della commissione di Vigilanza sulla Rai e poteva contrastare con ben altra vigorìa l’ostracismo e la disinformazione della tv di Stato sul quesito. Troppo tempo su Twitter e Facebook; troppo poco a girare l’Italia. Voto 5,5 LEGNOSO

GIORGIO NAPOLITANO. È lui l’ideologo del renzismo. Ha difeso ciò che ieri avrebbe attaccato spiegando a Matteo come si fa a fare il contrario di ciò che si dice. Il presidente emerito non perde occasione per mettere in difficoltà il suo successore al Quirinale e da ex padre della Patria si candida nei fatti a coordinatore della segreteria del Pd. Ispiratore dell’Italicum e della riforma costituzionale, ogni giorno che passa fa un passo in avanti verso l’agone politico. Non resta purtroppo che attendersi qualche comizio in piazza nelle amministrative di giugno. A Napoli, la sua città, e magari a Salerno a fianco del patriota Vincenzo De Luca. Voto 4 SPREGIUDICATO

Da: Il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2016

ALFABETO – CARLIN PETRINI Non solo cibo: è giusto (e pulito) superare il fossile

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Finalmente una chiacchierata con il cantore di una società finita, il teorico del marginale, l’anti moderno, l’eccentrico, il provinciale. “Così dicevano di me”.

Lei, Carlin Petrini, ha detto che bisogna tornare a zappare la terra. Con tutti i computer in giro la zappa se la dà sui piedi.

Caro amico mio, siamo viventi finché mangiamo. E la sovranità alimentare è la più preziosa delle sovranità di un popolo, la linfa essenziale della democrazia. Un popolo affamato non è libero, è solo schiavo. Internet non è un sostituto funzionale della zappa: permette invece di rendere più economica, utile e avanzata l’agricoltura. Il campo coltivato è il presidio di una comunità. Dove esistono filari di viti ben accudite, piante d’ulivo o di pomodoro, frutteti o grano, esiste la civiltà. Nel cibo c’è la nostra identità e la cultura, e nel cibo, come s’è visto, si affermano tanti talenti.

Spadellano da mattina a sera in televisione.

Quello è il registro pornografico del cibo. Intendo altro per civiltà, e anch’io non resisto dall’osservare questa compulsione ossessiva, il bisogno di traghettare la cucina davanti alle telecamere, l’esibizionismo che a volte fa rima con l’affarismo. Però c’è modo e modo, e c’è da distinguere tra i buoni e i cattivi maestri.

Oggi lei festeggerà i trent’anni di vita di Slow Food in trecento piazze. Domani gli italiani saranno chiamati al referendum sulle trivelle. Lei resta in salotto?

Ma scherziamo? Vengo dalla Spagna proprio per votare e tracciare sulla scheda un grande Sì. Oggi festeggiamo un lungo tratto fatto strada. Sembravamo visionari a teorizzare il primato della lentezza contro la capsula iperveloce dentro cui il nostro tempo sembra spingerci. Il primato della bontà contro la teoria del megastore, del cibo che sa di plastica. Abbiamo teorizzato il “buono, pulito e giusto” come fattore decisivo dello sviluppo dell’uomo. Cibo sano, quindi non inquinato, prodotto da chi ha titolo a un giusto salario.

Perché ritiene necessario andare a votare? Continue reading

DALLA A ALLA V Il guru li aveva messi in un libretto

casaleggio“Manca la zeta! Non potete lasciare il vostro lavoro incompiuto”. Il ragiunatt che albergava in lui lo spinse a setacciare il web alla ricerca di ogni epiteto compiuto e concludente sul suo conto e ordinare tutte le osservazioni, parecchie delle quali sfociavano però in insulti, e a farne un libretto (Insultatemi, Casaleggio Associati 2013) a uso, presumiamo, di legittima difesa. Il guru, l’uomo misterioso, il Lenin, il fascista, il nazista, lo spione, il dittatore, il pazzo, l’autistico, il mendicante, l’ufologo. All’ordine dato manca però la zeta, cosicché Casaleggio, dando mostra di una vena ironica sconosciuta, impreca: “Perché non potevo essere anche uno zotico, una zecca succhia sangue e uno zombie”? Solo in alcuni casi si difende e rintuzza, in altri lascia correre ritenendo evidentemente superflua ogni replica. Il lavoro compiuto dall’autore appare stimabile sotto il profilo della completezza (raccoglie con qualche stizza anche i commenti non benevoli espressi su questo giornale), cosicché non ci resta che farne una sintesi e lasciare ogni giudizio a chi legge.

A come Autistico “Il giorno prima, o una settimana prima, nessuno ricorda esattamente quando, era stato venti minuti in piedi all’angolo di casa prima di decidere di attraversare. Scrutava qualcosa, racconta un vicino, ho pensato che non stesse bene poi ha mosso la testa e ho pensato: meno male, respira” (Cristina Giudici, giornalista)

B come Bifronte “Quando lo vedo non so mai se si tratta della testa o del sedere. Uno che a cinquant’anni si fa la permanente è capace di qualsiasi delitto” (Vincenzo De Luca, politico)

C come Cazzone “Casaleggio ha idee del cazzo” (Giuliano Ferrara, giornalista)

C come Coreografo Nazi “Il paragone che si può fare è con Albert Speer, l’architetto del Terzo Reich” (Giampiero Mughini, giornalista)Continue reading

ALFABETO – PIPPO CALLIPO. L’imprenditore del tonno di nuovo sotto attacco: “Sparassero pure. A costo di farmi crocifiggere, resto al mio posto”

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Undici colpi di pistola, undici proiettili di ringraziamento per il lavoro che almeno lui offre e non toglie alla Calabria. Per i contratti che onora con i lavoratori, per le retribuzioni come da tabelle di legge. Dopo dieci anni la ’Ndrangheta bussa di nuovo alla porta di Pippo Callipo, industriale del tonno, imprenditore di Pizzo Calabro. “Questa volta hanno preso di mira il resort”.

 Questa volta hanno scaricato tutto il caricatore.

Dieci anni fa spararono alle finestre dell’ufficio dove mi trovo adesso. Ma allora come ora non mollo, non lascio, non mi abbatto. Io resto in Calabria dissi. Così sarà.

Ha paura però.

È un sentimento umano la paura. Che fai, sorridi? Però so che la mia vita è qua, nella mia fabbrica, tra i miei operai.

Il tonno Callipo.

Qualità assoluta, il nostro mercato non subisce i colpi della crisi. La polizia mi ha chiesto: problemi con fornitori? Operai licenziati? I nostri fornitori non hanno ansie economiche e i lavoratori non hanno incubi. Nessun licenziamento, se potessi assumerei sempre.

Non è insopportabile questa Calabria che sa solo fare male e farsi male? Continue reading

Le “pressioni inglesi” sulla Guidi e il regalo da 280 milioni di barili

petrolioGli italiani a Viggiano, i francesi a Corleto Perticara e gli inglesi? Dove li mettiamo gli inglesi? “Solo l’ambasciata inglese ci sollecitò l’emendamento”, dice qualche giorno fa Maria Elena Boschi ai magistrati che indagano sul grande travaso di petrolio in Basilicata. “Gli inglesi stanno facendo pressione”, confida Federica Guidi, il 9 aprile del 2014, a tre parlamentari lucani: Roberto Speranza, Vincenzo Folino e Maria Antezza. Gli inglesi della Rockhopper Exploratons Plc, un colosso con il cuore nelle lontane Falkland, ha scelto mare e monti italiani. Nell’Adriatico, alle viste di Pescara, ha il progetto Ombrina, sulla terraferma ha Brindisi di Montagna (Potenza) e la località Montegrosso per coltivare quello che appare il più ricco giacimento di idrocarburi nel Mediterraneo. Almeno 280 milioni di barili. Il terzo, il più grande, il più produttivo. La tavola è imbandita e c’è da mangiare per tutti nel paesino di mille abitanti: anche Total, Shell ed Eni vantano diritti di ricerca e sfruttamento tra le località Tempa Moliano, Masseria Larocca e Serra San Bernardo.

LA BASILICATA viene consegnata al grande trust dal governo di Matteo Renzi col sorriso sulle labbra e con la penna in mano. Lo Sblocca Italia è la legge che serve alle compagnie per fare gli investimenti, e l’emendamento bloccato poi ripreso e risistemato è lo snodo finale per raccogliere una carrellata di miliardi, circa quattro, di ulteriori investimenti. È la scelta che sta al fondo della politica renziana: liberare le energie e anche le lobby. Sul campo si impegnano a dragare le risorse che servono al rilancio del Paese Massimo De Vincenti e Pier Carlo Padoan.Continue reading

La vita, la paura di Lea e quel figlio mai nato

flavia-piccinniFORSE non lo sappiamo oppure non lo ricordiamo, oppure a noi maschi la cosa ci riguarda poco. Ma l’aborto, l’interruzione volontaria della gravidanza, anche se è legge dello Stato, è praticata solo da una minoranza dei medici italiani.
Questo è un fatto, una prova, una circostanza dentro la quale si sviluppa la vita e la paura di Lea, protagonista del romanzo che Flavia Piccinni (Quel fiume è la notte, Edizioni Fandango) sembra aver scritto con tutto il suo corpo. La forza della narrazione, la densità, l’energia delle parole fanno emozionare per il sentimento che trasmettono. È il tramonto di un’esistenza e l’avvio di un’altra. La scrittura è decisa, forte nei passaggi che danno respiro al racconto.
Non sopisce mai, colpisce invece quasi in ogni pagina. Un romanziere deve cercare in ogni rigo il fiato che necessita alle proprie costruzioni, a
rendere percepibile ogni suggestione, valicabile il confine di ogni fantasia, e la Piccinni, che non è una sprovveduta, trova sempre l’angolo giusto, l’inquadratura necessaria, l’energia indispensabile per rendere una storia “la” storia.
Non è un caso che Fandango abbia voluto mandare questo suo titolo al premio Strega. Il libro ha gambe per andare avanti, e avrà tempo per essere letto e anche riletto.

da: Il Fatto Quotidiano, 6 aprile 2016