Ora ombra, ora orma, ora specchio dell’altro. Chi scrive in una lingua straniera ha bisogno dell’altro che gliela traduca. E chi traduce non altera, sbianchetta, riduce o ritarda il cammino delle parole ma le scruta fin dentro la loro anima e sceglie il corrispettivo dello stesso colore come fosse filo per cucire l’orlo.
Ilide Carmignani ha avuto talento e fortuna: traduce dallo spagnolo. E traduce, grazie alle sue virtù, i grandi narratori: Bolaño, Borges, Sepúlveda, García Márquez. I migliori, o anche i più letti, i più venduti. A Ilide, che ha 55 anni e vive in Toscana tra Lucca e il mare, si rivolgono gli editori che hanno bisogno della sua cura, del suo tocco, della sua firma.
Presumevo che la traduzione fosse un segno del bisogno, un peso più che un piacere.
Tradurre è un’arte meravigliosa e fragile della quale mi sono perdutamente innamorata appena ho messo piede all’università. Non sognavo di fare altro, ho rifiutato infatti le proposte delle case editrici che mi proponevano ruoli ritenuti più consistenti culturalmente. È stata una scelta coinvolgente.
Tradurre senza tradire.
Tradurre per me significa conoscere anzitutto chi scrive. Conoscere la sua penna, i suoi libri, il passato anche remoto, la sua vita. Mi adopero perché ogni sua sillaba venga convertita nello stile, nell’idea e nel senso voluto.
La parola pane.
Ecco, prima le sottoponevo semplici esempi di come una parola, parlavamo del pane, nella nostra lingua abbia una consistenza differente rispetto a quella tedesca o inglese. Il pane per noi è bianco e si mangia a tutte le ore e si mangia preferibilmente fresco. I tedeschi lo conservano per più tempo e lo distinguono tra bianco e nero. Dunque chi traduce dovrà intendere bene come e cosa lo scrittore intenda, quale sia il contesto espressivo. Il nostro bosco ha un’immagine ben definita e i suoi colori sono diversi dal bosco tedesco, ancora figlio dei fratelli Grimm. Dunque prevalentemente buio, nemico, pericoloso.
Dove finisce il compito della traduttrice e inizia quella della psicanalista?
Si dice che la traduttrice calca le orme dei piedi della scrittrice, diviene in qualche modo il suo doppio. Deve entrare nella sua vita al punto da esserne coinvolta e tentare di dare in ogni singolo passaggio il medesimo sentimento, l’emozione, il ghigno o la paura che quel movimento narrativo impone. Più si fa ombra più dipinge i suoi passi nei colori che la prosa auspica, impone, invoca.
Lei si accorge che qualche volta una traduzione tradisce approssimazione.
Altroché! Per me è più facile scovarla, sono del mestiere.
Gli indizi del tradimento quali sono?
Gli avverbi ponte, le parole ponte. Quegli “assolutamente” che uniscono due frasi e rattrappiscono il senso, lo normalizzano, o burocratizzano.
Non è che lei esagera, esorbita, si espande oltre la misura?
È un errore capitale quello di esondare. Simmetrico alla mesta furbizia omissiva. No, la tua capacità si misura nel cogliere esattamente lo spirito.
Ci vuole cultura.
Il mestiere di traduttore solo da poco tempo sta avendo la dignità che merita, la centralità che merita. Finora sembrava uno strumento di semplice conversione, un affare modesto, un impegno modesto.
Pagano bene gli editori?
Mah: la media è di 25 euro a cartella per duemila battute. Penso che sia ancora un importo insufficiente e purtroppo anche quella cifra sembra un traguardo irraggiungibile per i tanti giovani che si adoperano per tentare di fare di quest’arte un mestiere.
Tradurre è…
È bellissimo, dà felicità.
Con lei si complimentano sempre.
Ho la fortuna di ricevere spesso apprezzamenti.
Ha il carattere giusto, è tenace, colta, e poi sorride non ghigna.
Gli scrittori hanno bisogno di conforto. Questo lavoro dà luogo a interrogativi, approfondimenti, continui confronti con lo scrittore.
È un mestiere faticoso?
Direi di sì. Mi siedo alla scrivania alle nove del mattino e la lascio alle sei del pomeriggio. Qualche volta devo sacrificare i weekend e le vacanze.
Ma lei è fortunata.
Scherza? Moltissimo fortunata.
Con le parole è caritatevole, sa sempre usare una carezza, ha la mano dolce. Vorrei conoscere il suo vocabolario, penso sia fatto di carne viva.
Troppi complimenti.
Meglio eccedere.
Anche lei è bravo.
Che fa, copia?
Da: Il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2016