La tragedia, da sola, non basta mai all’uomo. Perché esista e sia conosciuta ci vuole sempre qualcuno che l’abbia saputa raccontare.
Tra quattro giorni ricorderemo l’Olocausto, ma nella memoria sono stampati i caratteri delle parole di Primo Levi, le sue sillabe, la sua irripetibile testimonianza. Non avessimo letto Se questo è un uomo il ricordo di quella decimazione, il senso della depravazione umana, della folle corsa verso gli abissi sarebbe stato uguale? “Fin quando la tragedia non incontra qualcuno che la sappia raccontare scivola sugli abiti come acqua nel diluvio” dice Marco Belpoliti, critico letterario, docente di Letteratura a Bergamo e massimo studioso di Primo Levi. “Da venticinque anno ispeziono ogni suo scritto, e raccolgo, codifico, analizzo e rimetto in ordine il suo pensiero”.
Proprio di Belpoliti è la monumentale biografia da 735 pagine: Primo Levi di fronte e di profilo, edito da Guanda: “Siamo alla terza edizione, è un tomo che costa 38 euro. Vorrà dire qualcosa sulla dimensione letteraria e l’incanto espressivo di questo grande testimone della barbarie del secolo scorso.
L’Olocausto, l’ebraismo, il ricordo e la follia.
Quello di Levi non né un santino all’antifascismo né un santino all’Olocausto. Anticipa anzi che il suo libro è solo un documento per lo studio pacato dell’animo umano. A lui interessa indagare, e lo fa attraverso il ricordo minuzioso ma liberato dal linguaggio della crudeltà, dell’efferatezza. Non scrive mai camera a gas, mai la parola sterminio. Usa una sola volta il termine impiccagione. Anticipa lui stesso che il libro non aggiunge nulla a ciò che già si conosce. Il suo linguaggio è freddo, classicheggiante, dentro scorrono Dante e Manzoni, è buono per le lapidi, dice. Infatti Einaudi nel 1947 lo rifiuterà. Gli diranno no Cesare Pavese e Natalia Ginzburg e lo costringeranno a rivolgersi a un piccolo editore.
Lui cerca l’uomo o le sue nefandezze? Continue reading