In questo brutto tempo c’è un’altra generazione di “cattivi” da tenere a bada, una tribù interna a ogni società. Massimiliano Forgione dirige la casa di reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi (Av), un carcere modello per via di una strategia che fonda sul lavoro la responsabilità del detenuto e la sua rieducazione.
Lei, direttore, quanti minuti ci impiega per capire se l’ospite è un cattivo vero o un povero cristo?
Basta davvero poco. Non solo perchè ogni ospite è accompagnato dal fascicolo giudiziario, la sua biografia. Il suo comportamento e la sua pericolosità si misurano nel giro di poche ore.
Componga un catalogo dei cattivi.
Quelli di primo livello, il più basso, sono coloro che alla vista di una cella danno in escandescenze. La vita da reclusi è sottoposta a delle regole, e non potrebbe essere diversamente. Loro sistematicamente le rifiutano. Non vogliono rifarsi il letto, rifiutano di tornare in cella, provocano liti o solo fanno baccano, disturbano i coinquilini. Sono boriosi, vivono nel mito del guappo. Ma non sono pericolosi.
Il cattivo cattivo, invece?
È quello che adotta un comportamento formalmente ineccepibile ma instaura una scala gerarchica immediatamente visibile. Ha chi gli sistema il letto, chi gli cura il guardaroba, chi seleziona per lui il meglio della cena. È un capo, e lo si vede dalla biancheria che indossa, dal boxer di seta, dai pacchi alimentari che custodiscono profumi di pregio, maglioni di cachemire.Continue reading