A cosa serve la geografia? Restiamo appesi al ricordo del mappamondo, alle pianure e alle catene montuose. Lina Calandra la insegna all’Università de L’Aquila e spiega che la geografia è – al fondo – un misuratore di felicità. Aiuta a praticare il buon vivere e se gli aquilani avessero avuto più fiducia nella geografia anche la ricostruzione ne avrebbe guadagnato.
Lei è docente di un sentimento o di una scienza?
La scienza può persino aiutare nell’indagine dei sentimenti, nella identificazione della loro radice propria. La geografia è la comparazione di come si possa stare bene sulla terra. Di come si possa avere una relazione felice con la natura, di come la vita umana tragga da quella relazione il proprio benessere fisico e, di conseguenza, di come quella condizione aiuti lo spirito.
E qui siamo alla felicità.
Aggiungiamo che quella relazione non accade spesso. La geografia serve a indagare anche le disfunzioni nella relazione dell’uomo con l’ambiente, in quel trattino che unisce o separa gli uni dall’altro.
ha conosciuto la forza soverchiante della natura, la sua capacità distruttiva.
Dei 272 morti che il terremoto provocò, almeno la metà fu concentrata lungo la via XX Settembre. Perché è accaduto? Certo, il geologo ci avrà fatto conoscere il carattere dei sedimenti, il sismologo avrà chiare le ragioni della forza amplificatrice della scossa. Ma se si fosse anche indagata la natura e lo sviluppo dell’urbanizzazione di quell’area avremmo poi ricostruito meglio.
Sarebbe servita la geografa.
In quel caso sì. La geografia avrebbe contribuito a illustrare la corona delle cause distruttrici.
L’Aquila sembra una città esausta.
Più che esausta, respingente. Il grande dramma che ha vissuto l’ha tenuto dentro, incapace di condividerlo con altri che non fossero i nativi, e non ha saputo liberarsi del suo provincialismo, della chiusura al mondo, di un localismo esasperato, a volte gretto.
I soldi che sono arrivati e quelli che verranno hanno fatto bene alla città?
Non sempre i soldi fanno bene. Hanno consentito a tutti di vivere su una nuvola, hanno autorizzato dei professionisti mediocri a ritenersi capaci di progettare il mondo. Hanno accresciuto in un modo piuttosto parossistico l’autostima.
Le gru sono alzate, la periferia sembra completata, nel centro storico si torna a vivere.
Il panorama delle gru è meraviglioso e io che sono voluta andare ad abitare nel centro della città sento al mattino un vociare di operai, una confusione meravigliosa di dialetti. Vedo anche che la ricostruzione materiale produrrà architetture magnifiche, restauri preziosi. Il problema è un altro: chi li abiterà?
L’Aquila si svuota?
In periferia la ricostruzione è quasi completata. Appena un edificio è consegnato spuntano i cartelli vendesi. Credo che siano almeno tremila il numero dei bambini mancanti all’inizio dell’anno scolastico. Saranno diecimila i fantasmi aquilani. Gente formalmente ancora residente (anche per non perdere le provvigioni dello Stato), ma già fuori della città, lontana dalla città, dal suo sentimento.
L’Aquila poteva divenire il centro delle energie del mondo, delle competenze più avanzate.
Invece troppo spesso si è ritrovata al centro dei rancori, delle miserie di provincia, delle querelle ignoranti. Certo il Gran Sasso Science Center è un tentativo di portare in città intelligenze internazionali. Purtroppo resta un tentativo. L’Aquila ai soli aquilani. Chi la vive la ama. Non si tratta di togliere.
L’Aquila agli aquilani.
Mi sarei accontentata di vederla sottratta al dominio culturale ed economico di quelle quattro o cinque famiglie che la governano da sempre. Neanche il terremoto, che è una rivoluzione, è riuscito a scalfire le rendite parassitarie. È stato un peccato.
E le case di Berlusconi? Quelle mirabolanti case a molle?
La corona della vergogna. Solai che cedono, infiltrazioni continue, balconi che cascano… È stato il grande fondale della propaganda berlusconiana. Dovevano durare giusto il tempo della messinscena. E così è stato.
Non resta che piangere? Bisogna sempre avvilirsi?
No, no. La ricostruzione sta avanzando, le cose belle si fanno, il teatro è sempre pieno. Resta la recriminazione di sapere che L’Aquila non ha dato niente all’Italia. Il Friuli ha lasciato a tutti la virtù della memoria, la capacità di ricostruire pietra su pietra ogni cosa. L’Irpinia, nonostante i suoi scandali, ha fatto nascere la Protezione civile. E L’Aquila cosa lascia? Solo il processo alla commissione Grandi rischi. Cioè niente.
Da: Il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2015
Sono con te per l’analisi precisa della situazione L’Aquila amata da chi non vi è nato . la ricostruzione non è vero che è fatta bene i soldi fanno montare le teste casa mia maltratta, non sarà neanche antisismica in pieno centro antica integra conservata dalla famiglia spendendo continuamente denaro ,oggi uno scheletro senza più valore. Incapacità improvvisazione con pseudo lauree in ingegneria e architettura dono stufa di dare ancora di me a questa città anch’io accarezzo l’idea di andare via, non ne posso più di questo schifo. Scusa se non ho seguito punteggiatura ma l’ho faccio apposta . un saluto