Il primo sindaco del partito della Nazione sarà lui. Un metro e ottantanove centimetri per settantanove chilogrammi di peso, per sei anni (2003-2010) il giocatore di polo non professionistico più forte al mondo. Lui è Alfio Marchini, cinquantenne, l’imprenditore romano che sul cemento e dal cemento – il cemento unisce –avanza come interprete della politica del fare, il verbo che cuce amabilmente il ventennio berlusconiano con l’età renziana. Lui dice: “Di qua noi, di là i cinquestelle”. La joint venture tra Pd e Forza Italia che la ministra Beatrice Lorenzin ipotizza per far fronte alla “deriva”grillina nella quale potrebbe essere trascinata Roma, capitale d’Italia e sede del Papato, simboli di una crisi drammatica e contestuale, è alle porte.
ALFIO GONGOLA: “Già tre anni fa immaginavo, appena ho messo piede nel campo della politica, che avesse al centro un confronto democratico tra il movimento di Grillo e un movimento che sapesse coniugare civismo e ideali, bandiere della nostra storia e modernità. Siamo adesso giunti al punto di svolta, bisogna sostituire al consociativismo un nuovo bipolarismo: noi da una parte, i cinquestelle dall’altra”. È più di un patto del Nazareno in versione capitolina, è la formula che dà concretezza a quel vettore politico che può coniugare gli interessi del centrosinistra e del centrodestra, risolvere le antitesi e arrivare alla sintesi: il potere. “Quel patto del Nazareno ha miseramente fallito a Roma. Sarebbe un onore per me essere considerato uno che può aggregare, anche se sento forte la puzza di un trappolone. Essere l’unico candidato in campo è un oggettivo rischio del tiro a piccione. Siamo al punto che persino la nomina dei sub commissari, che devono traghettare Roma alle elezioni per qualche settimana, diviene un parto difficile. In queste condizioni i falchi si avventano su di me, ma io rassicuro tutti: non userò le sigle politiche come taxi. Rispetterò i partiti ma risponderò al desiderio dei romani di essere convocati alle urne non per arrovellarsi su chi sia di destra o di sinistra. I romani vogliono uno che risolva i problemi, metta a posto le strade, faccia funzionare i treni, la metro, i bus. Conosca Roma come le sue tasche e sia dentro il sentimento popolare. Questo sarò io”. E infatti l’identikit corrisponde all’idea renziana del governo: nessun colore ma tutti i colori possibili. “Sarà il candidato del Pd al secondo turno”, ha detto Giorgia Meloni. E Marchini: “L’unica cosa che so è che non mi voterà la destra che sta con la Meloni e la sinistra che già è passata tra le braccia dei cinquestelle. Ho onorato il mandato che i romani mi hanno dato in questi due anni con battaglie come quelle che hanno svelato la svendita del patrimonio immobiliare e voglio meritare il loro voto con una proposta che senza negare le differenze delle singole storie possa consentire il rinnovamento di questa città”.
“Berlusconi ha sintetizzato alle colleghe forziste la deputata Laura Ravetto – punta per Roma e per l’Italia a uno che ha la grana”. Marchini è perfetto. Anche il Pd gli deve parecchio. Se non si è schiantato al suolo, se nel confronto drammatico e finale con Ignazio Marino è riuscito a spuntarla, è perchè Alfio gli ha dato non una ma tutte e due le mani. Dei diciannove consiglieri rinchiusi prima al Nazareno e poi al Campidoglio (in una stanza senza finestre) nove erano pronti all’ammutinamento. Avrebbero sottoscritto le dimissioni solo se Marchini avesse garantito di persona che i suoi erano pronti a sommarsi. Quale prefetto, quale dream team! Mancano quindici settimane all’apertura della campagna elettorale e il partito è preda a una crisi di nervi. L’altra sera gli iscritti al circolo di Trastevere hanno processato l’incolpevole Fabrizio Barca, l’unico che ancora mette piede nelle sezioni, chiedendo a lui conto di Orfini, di Renzi, del modo in cui è stato licenziato il sindaco. Sono i giorni della grande fuga: la sinistra si ritroverà con Fassina, sempre che Ignazio Marino non decida di correre. La destra con Meloni. Lo spurgo benefico che conduce al punto esatto in cui Marchini vuol farsi trovare: il centro del centro del centro. “Non ho dubbi che i Cinquestelle andranno al ballottaggio”, sentenzia lui. E dubbi non sembra averne sulla sua capacità di superare il primo turno. La coppia di fatto Pd-Forza Italia si troverà non apparentata ma convergente sull’uomo che, come dice la Lorenzin, “potrà essere il baluardo per fermare la deriva grillina”. Il partito della Nazione si realizzerà per desistenza assistita. Un voto confluente e consenziente. In nome di Roma, naturalmente.
da: Il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2015