Il viceministro dei Trasporti ha presentato tre disegni di legge per garantire i diritti ai lavoratori, specie le precarie in rosa. Ma non applica il Jobs act
C’è sempre da imparare da chi fa le leggi. E dunque ecco qua la lettera che il legislatore, uno dei magnifici mille o poco meno chiamati alla guida della Patria, scrive a una sua collaboratrice. È una missiva d’addio, una lettera di licenziamento, raccomandata con avviso di ricevimento datata ottobre di quest’anno. Lei, non più giovane e non più alle prime armi, svolge l’attività di collaboratrice a progetto, l’ipocrita dicitura con la quale si chiede il lavoro negando i diritti. È una fatica quotidiana che svolge negli uffici dei gruppi parlamentari di palazzo Madama, e che finora si rinnovava periodicamente. Però alla “Gentilissima Signora” il presidente di gruppo che qui non si cita per non creare disagio e un ulteriore problema alla licenziata (che per vedersi liquidate le spettanze ha dovuto sottoscrivere un impegno alla totale riservatezza di quanto le stava occorrendo), spiega candidamente l’intenzione di recedere dal contratto anzitempo. Scadeva in aprile ma dobbiamo troncare la relazione subito, già in autunno. Il datore di lavoro recede perchè lei è scansafatiche? Perchè fa la furba con l’orologio? Perchè è incapace? Perchè flirta con l’opposizione? Nient’affatto. Il legislatore che qualche mese fa aveva approvato il Jobs Act ora prende nota con disperazione che quella legge prevede dal prossimo gennaio l’entrata in vigore di una disposizione secondo la quale i contratti a progetto “subiscano l’automatica trasformazione in contratti di lavoro subordinato”.
ERA ESATTAMENTE questo che il governo ci ha spiegato e rispiegato in centinaia di dichiarazioni e apparizioni televisive. Per radio e finanche per strada. Finalmente l’emersione dalla precarietà. Il costo sociale di aver divelto l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori compensato dalla prospettiva di dare dignità al lavoro. Finalmente una retribuzione decente e il diritto di vedere rispettati i propri diritti. Se non quello alla felicità almeno l’altro, quello alla malattia. E anche la possibilità di contrarre un mutuo, di pensare a un figlio, al futuro. Quante volte Matteo Renzi ha illustrato le meraviglie del Jobs Act, e quanti tweet ha sparato in cielo? E quante volte il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha opposto le “tutele crescenti” al declino dei danari in busta paga? Anche il senatore che ha sottoscritto questa lettera naturalmente ha garantito agli italiani il meglio del meglio. Senatore della maggioranza, presidente di un gruppo che esprime sottosegretari e viceministri, guardiani della rivoluzione renziana. Uno di essi si è addirittura spinto ancora più in là: Riccardo Nencini, viceministro ai Trasporti e segretario del Psi, una monade nell’universo governativa. Proprio colui col quale la licenziata era a più stretto contatto. E Nencini, memore della storia e dell’onore del socialismo italiano, ha speso ogni energia per difendere i lavoratori, ma soprattutto le lavoratrici, coerente ai principi della solidarietà, dell’uguaglianza e dell’emancipazione femminile. Da solo è riuscito a presentare in due mesi ben tre disegni di legge, dicasi tre, nei quali trattava la pratica dello sfruttamento del lavoro, intellettuale e non. È suo ad aprile del 2013 un primo disegno di legge dal titolo: “Estensione delle tutele sociali e dei diritti sindacali dei lavoratori a progetto”. È suo un secondo provvedimento, firmato il successivo mese di maggio da cui trapela l’angoscia al cospetto del lavoro vilipeso e sacrificato agli interessi padronali o solo vittima della grave congiuntura economica: “Disposizione per favorire il reinserimento dei lavoratori espulsi dal mondo del lavoro e per il sostegno ai disoccupati di lunga durata”. Ossessionato dal disagio sociale, nello stesso mese, Nencini veramente progressista e di sinistra propone con un terzo testo di legge un elenco di interventi “per il sostegno dell’occupazione giovanile e femminile”.
E INFATTI… Il suo gruppo quando si è trovato a far di conto con un lavoratore a progetto, per di più donna, si è dato una speciale deroga dal principio. E ricordando che aveva appena approvato una legge che avrebbe dato alla propria collaboratrice lo status di dipendente, ha deciso di virare sull’eccezione, secondo il noto principio che la legge vale per alcuni. Quindi ha scritto: “Alla luce delle novità legislative sopra richiamate e al fine di scongiurare (scongiurare, tenete a mente questo verbo, ndr) il verificarsi delle conseguenze da esse derivanti, intendiamo recedere dal contratto di cui in oggetto”.
Ah, non mancano i distinti saluti.
Da: Il Fatto Quotidiano, 24 ottobre 2015