Come le polveri sottili che si adagiano per strada, sbarcano sui capelli come nel risvolto dei pantaloni, anche il berlusconismo ha un suo ph che oramai irrora il nostro sangue, ed è la matrice dell’Italia di oggi. “Matteo Renzi non ha un pensiero oltre il renzismo, non c’è analisi sulla trasformazione della società. Lieve e debole come il pensiero del Cavaliere. Anch’egli protagonista e interprete dell’idea che furbizia, talento e un po’ di simpatica cialtronaggine siano elementi inossidabili per raggiungere e conquistare il potere. Come Berlusconi ha una capacità innata di intercettare il sentimento popolare, i piani bassi della nostra etica. E oggi è venuto il momento di smacchiare il ventennio, diluirlo in un piccolo e breve incidente. Renzi non ha classe dirigente oltre la Boschi e usa il cartongesso per trasformare la realtà e adattarla alle necessità del momento. Sono pareti mobili che compongono scenografie altrettanto provvisorie. Ogni luogo ha un bisogno, ogni teatro una recita. E ieri c’era bisogno di assolvere tutti quanti e catalogare il berlusconismo e l’antiberlusconismo come accidenti di pari natura. Successe già quando Pasolini segnalò la costruzione di una equazione tra fascismo e antifascismo. L’Italia si ripete, noi italiani questi siamo”.
MARCO BELPOLITI, critico letterario tra i più raffinati (è docente di letteratura italiana all’Università di Bergamo), più di ogni altro ha indagato l’antropologia berlusconiana, e sul “corpo del Capo”, titolo del suo più noto studio sulla fisicità della leadership ha illustrato la profilassi sociale berlusconiana. “Naturalmente è incomparabile il rilievo tra i due sotto il profilo, diciamo così, della morale privata e anche pubblica, ma identiche appaiono le costruzioni di fondo, l’idea che hanno della società, la capacità che mostrano di essere insofferenti al rigore dell’impegno, alla necessità delle competenze alte. Anche Renzi come Berlusconi è tutto corpo e cerca negli italiani l’empatia sfoderando talento, capacità di sorpresa, illustrando la favolistica del ricchi e belli in una notte sola”. Eppure anche nel Pd c’è chi ha lottato sinceramente e pagato anche personalmente gli anni dell’opposizione al berlusconismo. Com’è possibile che l’equazione renziana degli uni simili agli altri venga raccolta in un silenzio così formidabile? Accettare così di sbianchettare la propria storia… “Capisco a chi fai riferimento. A quell’élite culturale oggi silenziata o forse stordita. Credo che in tanti ci sia il desiderio di essere ingannati da Renzi. È una questione psicanalitica prima che politica. La voglia di dimenticare, di scommettere sulla novità, di tentare di trovare testardamente il buono che ci può essere è anche figlia della desolazione, dell’assenza di una alternativa. Ti ricordo che Renzi è stato votato nelle regioni rosse alle primarie. E certo quel voto gli è stato concesso da estranei, da militanti disperati che non trovavano altro modo e un altro nome per dare un futuro alle proprie idee”. Sì, ricordo anch’io le facce ormai appassite dei vecchi militanti che affidavano al giovane boy scout la palingenesi. “Il sistema elettorale, la società della comunicazione impone come obbligatoria una novità. E il profilo di Renzi era perfetto per sognare un nuovo inizio”.
POI HANNO VISTO. “Poi hanno visto e quel partito che pure l’ha acclamato gli torna estraneo. Ma senza alternative la sua figura ha la possibilità di durare a lungo”. C’è un di più che fa dell’Italia un Paese che affida a demiurghi… “Renzi mi sembra uno che scherza col fuoco, da questo punto di vista un apprendista stregone. Subisce il fascino dell’improvvisazione. Ma questa sua dotazione negativa lo fa sintonizzare con la pancia dell’italiano medio. Il nostro guaio è che non esiste una generazione di trentenni che lanci un progetto simile a quello di Podemos in Spagna. Un progetto culturale prima ancora che politico. L’Italia è più piccola, più docile e più povera degli altri Paesi. I ragazzi più intelligenti sono andati via”.
Da: Il Fatto Quotidiano, 27 agosto 2015