Incattiviti ma sempre pronti a perdonarci. Altro che brava gente
Altro che brava gente. Gli italiani stanno prendendo la china pericolosa dei cinici e pure apocalittici, incrudeliti dalla speranza perduta, disorientati e stanchi.
La diagnosi è piuttosto infausta, ma Amalia Signorelli, antropologa combattente, osserva la postura collettiva, questo disordine culturale e politico che conduce all’anarchismo etico. Ciascuno si arrangia. Come può e come sa.
Dunque, professoressa: la brava gente è diventata cattiva?
Spiace dirlo ma un po’ sì. Il contraccolpo della stagione creativa di Tangentopoli ha prodotto una disillusione di massa. Credevamo, forse ingenuamente, che quelle forme di censura giudiziaria avessero liberato energie positive e consacrato alla verità un principio costituzionale. Siamo tutti uguali davanti alla legge. Vedevamo sfilare i potenti e abbiamo creduto che l’uguaglianza fosse un traguardo raggiunto.
Temo che si applaudisse ai processi più come realizzazione di una vendetta collettiva che della palingenesi.
Ci saranno stati tanti felici di vedere il sangue scorrere. Ma al fondo la serie di incredibili furfanterie scoperte furono salutate come una liberazione. L’avvio di un tempo nuovo e di uomini nuovi.
Invece niente.
Invece quel che ne è seguito è stato un lungo rosario di delusioni. Tutto è sembrato ricomporsi nell’usuale dimensione. L’uguaglianza, almeno nel principio, è tornata nella prassi della vita quotidiana a essere una chimera.
Gli italiani vivono dunque nel falso. Hanno immaginato di essere buoni, talentuosi, generosi, disponibili al sacrificio.
Gli italiani grazie alla storia hanno potuto vivere sempre di rendita, al di sopra delle nostre possibilità. Anche culturalmente voglio dire.
Facevamo gli splendidi.
Ecco, appunto. Mi fa ricordare il carteggio tra Del Boca e Montanelli nel quale il primo documenta al secondo – a proposito della nostra spedizione in Africa –come fossimo stati protagonisti di immonde schifezze. Altro che brava gente.
Moralisti, perbenisti, familisti.
Credere alla famiglia come una rete di protezione, una microsocietà di mutuo soccorso non è deplorevole nel principio. Il familismo, nella sua logica primitiva, affonda nella convinzione che il legame di sangue serva a riconoscersi e reciprocamente aiutarsi. Nel tempo esonda e diviene pratica ingiustificabile di privilegi. Qui è la devianza e qui, naturalmente, bisogna affrontare anche l’altro tema.
Presumo di conoscerlo: non soltanto moralisti e familisti ma anche perdonisti?
Il cattolicesimo inculca fin dai primi passi l’idea che qualunque marachella possa essere alla fine perdonata. Da bambini cosa diciamo? Mamma scusami, ti prego, non lo faccio più. Due lacrimucce, carezza assicurata e perdono ottenuto.
Il perdono ci convince che è sempre possibile farla franca?
Farla franca. Non c’è ceto sociale dove questa idea non abbia successo. Il protestante è inchiodato alla propria responsabilità, alla propria colpa. Il cattolico sgattaiola, piange, s’affligge. E alla fine?
Siamo figli di mamma, anzi cocchi di mamma.
La crisi morale, l’elevata forma di criminalità pubblica ci ha fatto perdere fiducia. Ci ha reso disincantati, cinici e convinti che non c’è ribellione possibile, neanche voto di protesta possibile. Tutto è dannatamente simile, dannatamente sporco. Lottare conviene? Sembra non più.
La crisi economica ci ha poi resi ancora più fragili, impauriti, piegati.
Ha fatto il resto, sicuramente. Una società infragilita produce una democrazia infragilita e soprattutto l’idea che alla fine sia meglio delegare a uno solo, che faccia qualcosa, qualunque cosa. O addirittura che faccia mostra di fare qualcosa. Il renzismo, questo fenomeno di devozione all’atletica e giovanile figura neodemocristiana del premier, non è altro che il frutto di un enorme disincanto e una enorme debolezza sociale. E lui fa. Che faccia bene o male, che trascuri la Costituzione e la mortifichi oppure la difenda, che aiuti le classi più povere oppure le danneggi, che risolva o meno i problemi appare questione tutto sommato secondaria. Vede dove siamo finiti?
Cattivi e rimbecilliti anche un po’.
Incattiviti sì, tanto.
Non c’è speranza.
Non ho speranza nelle nostre forze. Serve una scossa, un evento enorme ma esterno all’Italia, una grande crisi economica per esempio, che ci obblighi a guardare alla nostra vita e ai nostri doveri finalmente con una postura diversa. Serve un profondo restyling dell’italiano. Qualcosa che gli imponga di ricominciare a vivere con la schiena dritta e gli occhi aperti. Senza la fede nella furberia, o peggio nella furfanteria.
da: Il Fatto Quotidiano, 27 giugno 2015