Corrado Passera, un fuoco le arde dentro e non c’è niente da fare.
Niente, dal liceo, dai comitati studenteschi, da quando hai 18 anni e già in testa la voglia di fare bene qualcosa per il bene di tutti. Poi non te ne liberi più.
Perché un banchiere ricco si ritrova a fare il politico povero e trascurato da tutti? Perché spende i suoi soldi per andare a Uno Mattina? E perché gli italiani non lo capiscono? E perché invece lui pensa che lo comprendano? E di cosa è contento?
Mi piace che finalmente qualcuno mi faccia queste domande.
Ogni volta che la vedo in tv mi domando come sia stato possibile che Corrado Passera…
Alt, la fermo. Quel che sono oggi è il risultato della fatica di ieri, è il senso del dovere, di un impegno per la collettività che non mi ha mai lasciato in pace. In tutti i luoghi in cui ho svolto il mio mestiere di manager sono stato accompagnato da questo desiderio.
Non lo avevamo capito, purtroppo.
Ripercorro brevemente la mia carriera. Lascio il mondo dei giornali che mi affascinava, ero il capo azienda dell’Espresso, un gruppo editoriale straordinario, per dimostrare che andare alle Poste, cioè in un baratro, non era frutto di un colpo di sole ma di una scelta ponderata. Perché lo faccio secondo lei?
Lo fa per il bene del Paese.
Non è convinto.
Un po’ no.
Ma è esattamente questa la ragione! Voglio dimostrare che quell’azienda può ritornare a essere un perno della società. E quei lavoratori afflitti devono ritrovare l’orgoglio di essere parte di una grande impresa sociale. M’invento il bancoposta. L’azienda decotta torna a splendere.
Pare che i postini siano di nuovo nei guai.
Vado a fare il banchiere. Creo Intesa San Paolo, do vita a Banca Prossima, la prima banca etica. Secondo lei perché lo faccio?
Per il fuoco che le arde dentro. Per il piacere di servire l’Italia.
È proprio così!
E anche Alitalia.
Confermo.
Alitalia però non è venuta benissimo.
Sbaglia. Facciamo reset un attimo. Mi chiama Giulio Tremonti per tentare un rilancio e gli dico: non c’è altro da fare che suggellare il fallimento. Ha divorato soldi pubblici, ora basta. Io cerco nel mondo intero qualcuno che la prenda. Niente da fare. Allora mi do l’ultima chance: salvarla per quanto si poteva, farla vivere nelle forme che si poteva. Salvare il massimo dei dipendenti e recuperare il massimo della reputazione possibile. Metto insieme una cordata che sul piatto investe un miliardo e mezzo. E la salva.
La cordata ancora maledice quel giorno.
Non tutte le cose vanno a piattino. Ci sono investimenti che danno subito utili e altri più complicati.
Anche i banchieri sbagliano.
Si chiama capitale di rischio, per l’appunto.
Alla sua banca quanto ha fatto spendere?
Un centinaio di milioni di euro.
Mettiamoci una croce sopra.
I soci che ho messo insieme hanno ancora il 50 per cento di Alitalia. Vedrà che col tempo si rifaranno.
Il punto centrale mi pare sia: ovunque andasse aveva l’Italia in testa.
Scrivevo, proponevo, illustravo.
Ha scritto il piano per salvare l’Italia e Napolitano la convocò con urgenza.
Erano 150 pagine. Vuole che lo illustri?
Per sommi capi.
Manovra da 500 miliardi di euro. Un elenco dettagliato, minuzioso, perfetto per indicare la via della salvezza.
Monti ne fece carta straccia.
Non l’ha capito, non ci ha creduto.
Amarezza.
Amarezza, sì.
Da ministro è parso che non sia riuscito a dare il meglio.
Su questo devo convenire. Ho dato meno di quanto potessi.
Le hanno tarpato le ali.
Numeri alla mano a quest’ora, se si fosse fatto la metà di quel che prescrivevo…
Perciò ha scelto di farsi il partito e non dare più retta a nessuno. Le costerà un sacco di soldi.
Mi costa, sì. Ne ho parlato in famiglia e abbiamo deciso di comune accordo.
Lei spenderà tutti i soldi della liquidazione.
Investo i miei soldi, non tutti i soldi.
La liquidazione da Banca Intesa.
Dieci milioni di euro, e uno stipendio di un milione e mezzo l’anno a cui ho detto bye bye.
Ancora non ci credo.
A cosa non crede?
La famiglia lo sa?
Crede che queste cose si decidono senza il consenso della famiglia?
Però non spende mica tutto, per fortuna.
Spendo quel che posso in ragione dell’obiettivo che ho. Ho chiesto anche a degli amici di aiutarmi e dare una possibilità all’Italia di uscire fuori dalla melma.
Temo che gli italiani non si sentano pronti a Italia Unica.
I sondaggi ci dicono altro.
I giornalisti la guardano con sufficienza. Nota anche lei i ghigni, i sorrisetti?
Subisco in silenzio. Per quella foto con il bavaglio davanti al Parlamento è stato sbeffeggiato. L’Italicum mina la democrazia e lascia nelle mani di uno solo il governo, il Parlamento, la Presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale. Dovevo fare qualcosa di eclatante.
Mi ha molto colpito il bavaglio in sé. Non l’ha fatto alla Pannella, alla cheyenne, diciamo così, col fazzoletto a coprirle tutta la bocca. Si è imbavagliato come fosse stato rapito.
Non sono espertissimo, di bavagli.
È stata mostruosa la sua campagna pubblicitaria. Ci sono stati giorni in cui lei compariva dovunque. Chissà quanti milioni di euro.
In tutto è costata 145 mila euro. L’abbiamo fatta in gennaio: spazi vuoti, prezzi da discount. Come vede ciò che appare non è.
Però campagna un po’ sfortunata. Il giorno della convention di Italia Unica si eleggeva il nuovo presidente della Repubblica.
Non potevamo spostare un appuntamento deciso da mesi. Una questione di serietà.
Ora guarda a Milano. Vuole fare il sindaco.
Crede che abbia fatto male i conti?
È lei il banchiere.
Vecchia vita quella. Non ritorna più.
Sento che se la giocherà al fotofinish.
Non ci crede ancora, ma presto si ricrederà.
da: Il Fatto Quotidiano, 13 giugno 2015