Certo che ho paura. Ho paura di non vedere più accendersi la lucetta rossa della telecamera, quella luce che mi ha accompagnato per trent’anni. Ho paura di non ritrovare più la comunità che si è formata attorno ai miei programmi. La paura è un sentimento umano di cui dobbiamo tener conto. Sono stanco di una televisione che è diventata routine, ho bisogno di ritrovare il mio tempo, e anche – se posso dire – di sbagliare. Le cose belle vengono se non ti lasci schiacciare dal timore di fare delle cose brutte. Anzi, mi spingo a dirti: devi osare il brutto per sperimentare il bello”.
Michele Santoro ha deciso di tornare in piazza, a Firenze, il prossimo 18 giugno per dare inizio, se così si può dire, a una fine.
A Firenze si chiude un ciclo. Non finisce Servizio Pubblico, ma finisce questo format che aveva avuto inizio in un’altra piazza, era stato voluto nella più grande e finora sconosciuta forma di condivisione collettiva, di intelligenza comune. Una, dieci, cento telecupole, una costruzione basica, una forma comunitaria di persone che hanno prodotto un miracolo. In centomila mi hanno dato fiducia e mi hanno messo in mano ciascuno dieci euro. Una roba pazzesca che la storia della televisione ancora assume come un assoluto inedito. E quella spinta popolare mi ha riportato in televisione, la mia casa da cui ero stato buttato fuori con l’editto bulgaro. Un editto che non è mai stato rimosso, nemmeno dopo i successi di Annozero. Torno in piazza per chiudere una porta e aprirne un’altra.Continue reading