Nel conteggio dei black bloc sono sfuggiti alla polizia i volti di alcuni tipetti in giacca e cravatta che hanno dato prova di quel che vorrebbero fare – o saprebbero persino fare – se avessero tra le mani un manganello.
Paolo Romani, che il mistero insondabile della vita ha condotto in Parlamento e persino al governo di non molto tempo fa e oggi è uno dei nostri padri costituenti (sic!), ha scotennato il suo linguaggio, tradizionalmente devoto, prudente, lezioso, omaggiante: “Mandateli dai macellai dell’Isis… Pestate questi bastardi”.
ROMANI NON ERA AL SENATO a illustrare il suo programma di governo ma elegantemente su Twitter, arena pubblica dove le contumelie valgono il doppio, e infatti ha fatto un figurone.
Prima di proporlo come ministro dell’Interno e seviziatore ad honorem, resta una domanda: era vero il primo Romani, il curato brianzolo di Silvio Berlusconi, o quest’altro in versione black?
La frequentazione dei social network ha inalmente dato la possibilità di illustrare, fin nei dettagli, una mappatura pornografica del potere. Nel senso che ogni volgarità, la più abietta e impossibile a immaginarsi, trova riparo e custodia.
È vero, non c’è più da interrogarsi sui motivi che spingono il deputato di centrodestra Giovanni Bianconi a rendere la parola un’evacuazione del pensiero dal proprio corpo.
Ma è merito di Twitter se anche Giorgia Meloni procede con una introspezione psicologica: “Mi fate schifo”. Ce l’aveva con i comunisti di Trieste. Ma poteva benissimo essere una considerazione istituzionale, una garbata riflessione sulle vicende della politica romana.
Raramente si può superare Matteo Salvini, che prosegue nel suo tour turpiloquesco. Ieri, serenamente, ha parlato di “zecche rosse”. Succede così che un militante chieda a Maurizio Gasparri, la cui fede nell’oltraggio parolaio è inattaccabile, di “acchiappare” il rivoltoso in carrozzella, il devastatore invalido. “Ci faccia sapere qualcosa”.
La deturpazione del linguaggio, in parallelo ai fumogeni delle piazze, costruisce la piazza perfetta in cui la realtà va sottosopra. E così succede che il rapper Fedez, per intenderci quello della “generazione Boh”, divenga la controparte, l’ideologo festante della fanghiglia rivoluzionaria.
Maurizio Gasparri contro Fedez è da ridere, e ieri il fronte si è pericolosamente allargato a J-Ax, un altro notevole sobillatore.
NELL’ALLUCINAZIONE COLLETTIVA Fedez, sempre quello della “generazione Boh”, si è sentito vittima di un’azione “repressiva”.
Perciò Twitter si trasforma in un allucinogeno che fa sbandare qualunquemente. Beppe Grillo scrive che “Pieraccioni ridicolizza Alfano”, e la Ravetto si fa un selfie con Mariastella Gelmini e allarma: “Expo, presidio di Forza Italia”.
Intanto l’onorevole Licia Ronzulli, fuori sincrono, manda un messaggio alla moglie di Matteo Renzi: “Agnese fai i bagagli e segui tuo marito. Gli spazi vuoti vengono riempiti”. Poi Licia dà un occhio alle liste elettorali: “Dudù candidato prenderebbe moltissimi voti. Dovremmo cercare di utilizzarlo”.
E come catalogare la new entry forzista Silvia Sardone: “Tranquillo, sei coglione in ogni caso”?.
Se non c’è neanche bisogno di segnalare il leghista Gianluca Buonanno (“Renzi è la diarrea, spaccare le ossa ai black bloc”), c’è da soffermarsi un attimo su Gianni Alemanno che ha un buon curriculum: “Possibile che non si possa far nulla contro questi quattro stronzi rossi?”.
In verità non si può far nulla con Twitter.
da: Il Fatto Quotidiano 3 maggio 2015