Il razzismo di Razzi: “sono come me, solo più renziani”

IL SENATORE DI FORZA ITALIA, SIMBOLO DEI VOLTAGABBANA, CONTA I “COLLEGHI” PRONTI A SALIRE SUL CARRO DEL VINCITORE: “TUTTI FANNO QUELLO CHE FACCIO IO, SE NON PEGGIO”
antonio_razziEccolo qua Antonio Razzi: i baffetti furbetti al solito posto, gli occhiali con supporto trasversale color acciaio, i capelli gonfiati al phon e quella parola magica che l’ha reso macchietta perfetta: “Fatti li cazzi tua”. Ridiamo di lui, ma oggi lui ride di loro. Nel suo studio di senatore sembra Crozza in gita premio e il Parlamento un grande paese delle meraviglie.
Contare tutti i Razzi in circolazione, questo esercito di cacadubbi, di lotta e di poltrona, è impegnativo ma per il
capostipite del voltagabbanismo un esercizio davvero gratificante. “Quello lì si fa i cazzi sua”. Nel partito del premier il professor Giuseppe Lauricella, insigne studioso di diritto costituzionale, aveva esaminato per mesi e con spietatezza tutte le malizie e le nefandezze dell’Italicum, ieri è giunto alla conclusione che “piace quasi a tutti”. Piacendo a tutti, piace anche a lui nonostante i suoi studi contrari. Anche Laura Puppato, pur a lei spiacendo, si è convinta che è meno sgradevole: “Invito tutti a votare”, ha chiesto con un comunicato. E Francesco Sanna, il consigliere di Enrico Letta per gli Affari costituzionali, le riforme eccetera? Ma sicuramente sì, anche lui è della partita e brinderà. Fatti li cazzi tua. I baffi di Razzi sono un grande affresco neorealista: “Io l’ho fatto per la paga, mi mancavano tre anni di contributi per andare in pensione, mi ero licenziato da operaio e se mi mandavano via dal Parlamento non sapevo come campare. Questi altri, invece, si fanno i cazzi loro anche se potrebbero evitare. E poi sfottete me?”.Continue reading

Il Grand Tour.Nel cimitero dei pini, tra russi cafoni e nonni in amore

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IN VIAGGIO NELLA TOSCANA DELLE VACANZE DOVE I TURISTI MOSTRANO I PROPRI SOLDI E VOGLIONO SENTIRSI PADRONI
I russi, veri cafoni del benessere, sono giunti qualche estate fa. Molto prima della tempesta di vento, un uragano pazzesco che a marzo scorso ha fatto salire al cielo, come matite impazzite, i pini marittimi oramai spiumati del Forte. Venendo da nord, con il ricordo dei torrenti esondati lungo i fianchi delle Apuane, e prima ancora i disastri liguri, l’impressione è che il meteo si sia accanito con uguale impegno. Ha sbrindellato le case dei poveri, ma ha fatto fuori anche la cinta di verde dentro cui si rinchiudeva l’alta società italiana. Forte dei Marmi è oggi un cimitero di pini, e le motoseghe sono state chiamate a una impressionante tumulazione ambientale che sta durando settimane. Cataste di tronchi vengono allineati nello slargo adiacente a quella che fu la pineta più rigogliosa e ben tenuta d’Italia. Vigilantes ancora dirigono il traffico di camioncini che trasferiscono in falegnameria le tonnellate di legno oramai affettato. Del resto, Forte dei Marmi ha con i pini lo stesso rapporto che Linus ha con la sua coperta. I pini rendevano infrangibile e chiusa allo sguardo la borghesia vacanziera, potente, affluente e riservata, nascosta dietro le paratie perimetrali di verde naturale, dentro ville dai lineamenti puliti, dall’architettura mai eccessiva, realizzate sull’orlo del centro storico dove in estate scintillano i negozi del lusso in trasferta da Milano, Firenze o Roma.
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Il Grand Tour. Speculazioni e mafie. In Liguria tutto liscio come l’olio

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DAL PICCOLO BERLUSCONI DI AVEGNO, GIÀ PADRONE DELL’INDUSTRIA DELLE OLIVE AL SUMMIT DELLE CHITARRE
Con la val di Vara alle spalle ripetiamo la formula slow. Tornanti a ripetizione, discese e risalite fino ad Avegno. È il paese di un berlusconoide, Ezio Armando Capurro, politico itinerante ma anche imprenditore itinerante. Con l’olio di sanza, il nocciolo dell’oliva da cui si spreme l’ultimo e più degradato succo, ha fatto begli affari. In Liguria come in Puglia. Per anni ha conosciuto il successo detenendo il marchio dell’olio Sasso ed è stato con i suoi concittadini il promotore del perenne scambio civile: lavoro contro inquinamento. La gente lo ha accolto come un grande benefattore, acclamandolo poi nelle urne, e se ne è infischiata se dalle ciminiere usciva fumo puzzolente. Meglio la puzza che la disoccupazione. Meglio deviare il corso del torrente, come è stato necessario per far posto alla fabbrica, che rinunciare alla fabbrica. Quando il business è finito, l’impianto ha cessato la produzione e si è trasformato in una discarica illecita fino a che nel 2004 l’area è stata posta sotto sequestro dall’Autorità Giudiziaria.Continue reading

La bad company del Conte Max

ALLA CENA DI FINANZIAMENTO, D’ALEMA SIEDE CON L’IMPRENDITORE ARRESTATO PER MAZZETTE
Qui è questione di scalogna. Perché a cena Massimo D’Alema è democratico e fa sedere alla sua sinistra chiunque abbia desiderio di una parola di conforto, o voglia destinare la discussione a un confronto serrato sulla politica europea. E il 14 febbraio scorso, giusto per parlare di Europa e raccogliere fondi per la sua Fondazione, era sceso nell’amato Salento, terra incantata e amica e – incidentalmente – anche piena di passione per le prossime elezioni regionali.
ALLA CENA sovrintendeva Ernesto Abbaterusso, da sempre riconosciuto procuratore politico dalemiano e – incidentalmente – candidato per Michele Emiliano governatore di Puglia. Anzi, per la precisione candidato in sostituzione. Doveva correre suo figlio Gabriele, vicesindaco di Patù. Ma una condanna in appello per bancarotta fraudolenta accorsa al figliolo ha fatto pendere la bilancia verso il papà. Torniamo alla cena. Al tavolo di D’Alema si accomoda un grande sostenitore della Fondazione, l’imprenditore Tommaso Ricchiuto. La sala affollata, il clima è disteso, i volti sorridenti. Alla fine le foto.Continue reading

Il Grand Tour. Nelle montagne dei No Tav: tra balli e lezioni di ingegneria

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DAL TERZO VALICO DI INCALZA ALLE CASE ANCORA ALLE PRESE CON IL DOPO ALLUVIONE, FINO AI CONTADINI DI VARESE LIGURE
L’impressione è che questi monti liguri abbiano fatto da cavia a progettisti dalle mani bucate. Tanto era difficile e perigliosa la decisione di svuotarli (sono previsti 37 chilometri di galleria dentro rocce amiantifere su un tracciato totale di 53) tanto più l’opera sarebbe apparsa maestosa. E quindi costosa. E dunque irrinunciabile.
Il terzo valico nasce nel fondoschiena di Genova, e secondo le fantasiose previsioni della vigilia, dovrà unire il mare ai monti, collegare il sud dell’Europa mercantile e affannata e condurre velocissimamente le merci, attraverso le Alpi, verso il nord efficiente e pianeggiante di Rotterdam sviluppando il cosiddetto corridoio Reno-Alpi. “Ce lo chiede l’Europa” è infatti lo slogan, già buffonescamente in voga in Val di Susa, con il quale i difensori della mega ferrovia ad alta velocità hanno avanzato e poi vinto la partita. Il progetto è un figlio legittimo della scuderia di Ercole Incalza che al ministero spianava l’Italia con la mente predisponendo piloni di ogni sorta di cubatura. Al solito Stefano Perotti la direzione lavori, ad Alberto Donati, genero di Incalza, qualche spicciolo per un aiuto sul campo (691 mila euro di parcelle professionali tra il 2006 e il 2010).Continue reading

Vite in baracca. Radiamo al suolo l’ipocrisia

Che Matteo Salvini abbia pronunciato quella frase per irrobustire il suo profilo xenofobo non c’è dubbio. Ma non vi è ombra di dubbio che solo l’ipocrisia, compagna fedele della disumanità, può accettare che delle persone debbano vivere in campi che sono fogne, luoghi malsani, pericolosi, aree di sosta per rifiuti speciali. La nostra cattiva coscienza ci porta a destinare per i rom, che mal sopportiamo, dei recinti di periferia. A nessun umano sarebbe riservato un simile trattamento. A loro sì. Li ficchiamo in quelle baracche luride e aspettiamo – per poi denunciarla con la esatta viltà delle parole di Salvini – che la loro sporcizia esondi, che i caratteri della loro estraneità pongano in essere atti incivili. Impieghiamo, affinché il delitto sia perfetto, fior di quattrini che infatti diventano essi stessi l’unico motivo del nostro interesse. Solo il Comune di Roma, e solo per l’alfabetizzazione dei giovanissimi, impegna centinaia di migliaia di euro all’anno. Avrebbero, i figli dei rom, il diritto di andare a scuola. Ma quel diritto, che è un obbligo per chi esercita la patria potestà, non viene fatto osservare. I soldi volano nelle tasche dei nostri connazionali, avidi appaltatori delle deleghe per l’integrazione, mentre i bimbi vagano per le strade, trascinati all’orribile rito quotidiano dell’elemosina o del furto con destrezza.
NESSUNO NASCE LADRO. Ma quei bimbi non avranno altro futuro che il marciapiedi, altra vita che le baracche e altro spasso che i rifiuti. Solo l’incommensurabile ipocrisia con la quale affrontiamo i nostri impegni verso questo popolo ci permette di sottrarci alla regola minima di un dovere inderogabile: offrire le minime condizioni di vita civile. E poi chiedere a ciascuno anche con severità di rispettare le regole di convivenza e i doveri che ne discendono. Compreso quello di contribuire economicamente, naturalmente nelle forme appropriate e nella misura possibile, per i servizi ottenuti. Per questo i campi rom vanno rasi al suolo, senza se e senza ma.

da: Il Fatto Quotidiano 10 aprile 2015

Il Grand Tour. Milanesi, treni notte e cittadini che sfidano i boss di ’ndrangheta

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I GIOVANI SIRIANI IN FERROVIA AL CONFINE, LE SECONDE CASE DEI LOMBARDI, IL PESTO E IL GUARDIANO DELLA LANTERNA
L’Italia inizia a Ventimiglia oppure vi finisce, dipende da dove si giunge. Per chi scappa, come questi tre siriani che stasera aspettano il treno della notte, è l’ultima stazione della loro via crucis. Attendono l’ultima locomotiva, quella che li porterà in Francia. Se sono fortunati eviteranno il blocco della polizia di frontiera. Altrimenti saranno identificati e rispediti a noi italiani. Nel calcolo delle probabilità è più facile che li becchino. Ma domani sera ritenteranno. E se non riusciranno con il treno, proveranno a piedi percorrendo la mulattiera dei partigiani.Continue reading