Dura lex sed rolex. Per fortuna ci ha salvati il rolex da 10mila euro, cadeau di pregio nel bouquet tipico del familismo amorale (il posto di lavoro al figliolo, il vestitino blu sartoriale, il biglietto aereo per un weekend diverso). Fatti naturalmente odiosi, ma nulla in confronto al monopolio che Maurizio Lupi aveva decretato nel suo regno al ministero delle Infrastrutture. Nulla rispetto ai 25 miliardi di euro di opere pubbliche che solo l’ingegner Perotti era stato chiamato a progettare. E nulla, davvero niente, rispetto al fatto di aver appaltato un pezzo di Stato a un altro ingegnere, Incalza, conferendogli il potere perpetuo di organizzare, selezionare, finanziare le opere e i suoi derivati. Il vero scandalo davanti al quale Lupi si è dovuto arrendere non è stato quello di aver dato in concessione a privati la democrazia: la regolazione degli interessi in campo attraverso la statuizione di norme. E nemmeno quello di aver concesso a una cricca operosa la gestione esclusiva dei lavori da farsi, con annesse varianti. Innocente è! Il paradosso è che questa montagna di rilievi, così evidente e documentata, risulta alla fine quasi irrilevante davanti ai temi che hanno condotto il ministro a restituire la poltrona. “Lo faccio per riscattare il buon nome di mio figlio”, ha spiegato offrendo le dimissioni a Bruno Vespa che con dispiacere le ha accolte (il Parlamento di questi tempi fa rima con ornamento). Lupi, poveretto, è pentito di quel che gli è accaduto, e risponde con un “atto di responsabilità” all’at tacco mediatico, al “sopruso” patito, al “veleno” delle intercettazioni. “Fosse dipeso da me non avrei accettato quel regalo”, ha detto. Benedetto Rolex allora, l’orologio che segna i minuti e fa anche la storia. Intendiamoci: è del tutto evidente che un ministro non possa permettersi di chiedere favori per sé e i suoi cari. Ed è naturale che se lo fa si senta poi obbligato a rassegnare le dimissioni. Quel che è contrario alla ragione, al buon senso, perfino alla logica è che il Rolex possa divenire il motivo esclusivo dell’angoscia di Lupi e che per Renzi i 10 mila euro dell’orologio da polso contino di più dei milioni (miliardi?) trafugati per soddisfare opere fantastiche dell’ingegno. E il punto del disonore per il premier non aver avuto un ministro che ha offerto al Parlamento una difesa di uomini che proprio non la meritavano. O di aver ignorato che una legge chiamata Obiettivo – deliberatamente criminogena, perché affida la direzione dei lavori di grandi opere finanziate dallo Stato a un tecnico di fiducia dell’impresa appaltatrice – continuasse a sovvenzionare le cricche di turno. O che si dichiarasse opera “urgente e indifferibile”, per esempio, l’autostrada Orte-Mestre, piccolo segno di amicizia per il compagno di partito Bonsignore. O che si sdoganasse, con lo Sblocca Italia, la cementificazione del Paese e la riedizione della tesi che il controllore debba coincidere con il controllato. Sarebbe dunque filato liscio anche per Lupi (“io non sono indagato”, ha infatti ricordato) senza quel benedetto Rolex. D’ora in avanti, l’ora esatta sarà scandita direttamente da Palazzo Chigi.
da: Il Fatto Quotidiano 21 marzo 2015