Il male inizia a manifestarsi nella sua forma più acuta e prende il nome di Porcellum. Quella legge elettorale riduce la passione politica a un sordo e inutile brusìo, un semplice rumore di fondo, trasforma il partito in un bel comitatone elettorale, le correnti in bande, gruppi d’interessi con vita parallela e autonoma. A Roma il Porcellum sfregia il Partito democratico al punto che l’unione tra sinistra e popolari si converte in una lotta armata a suon di voti”.
SERVE UN CARONTE per inoltrarsi nelle pancia cavernosa del Pd di Roma che pure ha nobili tradizioni e genitori illustri. E noi lo troviamo in un dirigente di lungo corso, un osservatore non distratto che ha vissuto la stagione dei fasti fino a quella attuale – dell’umiliazione.
“Dal 2008 le cose sono andate sempre più peggiorando. Walter Veltroni lascia Roma, viene bocciata la scelta di ripescare Rutelli nel confronto con Alemanno a sindaco e la classe dirigente del Pd, quella che ha dato lustro alla Capitale, è messa da parte. Le seconde file si fanno avanti: qua ci siamo noi adesso. Certo, esistono i dalemiani ma sono rappresentati da Umberto Marroni, figlio di Angiolo, dal carattere spiccatamente consociativo e una curva politica opaca. Poi c’è Claudio Mancini, nome che illustrerò nel dettaglio più avanti. Più vitale ma ancora un giovanotto è Matteo Orfini. I veltroniani si sparpagliano perché Walter non ha mai saputo tenere una corrente, qualcuno continua a far le veci (penso alla Melandri, a Leonie Morassut). A nome di Rutelli c’è Riccardo Milana, ex dc, ex lista Dini, con lui Giachetti e Gentiloni. Invece si piazza al centro del partito Enrico Gasbarra che traghetta i popolari in città. È l’uomo dal navigatore incorporato: avvista il potente sempre prima di una curva pericolosa. Allievo di Sbardella, quando lo Squalo è forte, poi di Rutelli, quando Francesco è il re, di Prodi al tempo dell’Ulivo, di Bersani e infine di Renzi. Politicamente spento, ma con una agenda invidiabilissima. Il suo sodale è Fioroni, che nel Lazio ha una notevole piattaforma di lancio e di controllo. Alle pendici di Gasbarra navigano in un terreno notevolmente paludoso parecchi esponenti che in seguito ritroveremo. Ma di uno si può dir subito: Mirko Coratti, l’ormai ex presidente del consiglio comunale.
IL TEMPO PASSA e il Porcellum consegna tutti all’obbligo di macinare voti. Tessere e voti. È una condizione di sudditanza al vizio capitale della politica: avere clienti non militanti. Ma i voti costano e al tempo dello scandalo Fiorito, ricorderà, fu fatto osservare che tutti i consiglieri regionali avevano fatto incetta. E i nostri avevano intascato 100mila euro sotto forma di rimborsi. Ricordo che Nicola Zingaretti, figlioccio di Goffredo Bettini la cui mano dentro il partito si sente quando c’è, perchè lui – malgrado i difetti e diciamo così le simpatie con alcuni ceti affluenti – ha sempre avuto una visione della città. Zingaretti è uomo suo, ma Bettini più avanti allenterà la presa o forse la perderà. Sta di fatto che Nicola, quando si candida, chiede che i consiglieri invischiati nei rimborsi non si ricandidino. Segretario regionale è Gasbarra. E che fa? Li toglie dalla Pisana e li mette in Parlamento. Bruno Astorre, commercialista di Frascati diviene senatore. Anche Carlo Lucherini, da Monterotondo, è senatore. E a palazzo Madama vengono riversati i luogotenenti di Latina (Claudio Moscardelli) e di Frosinone (Francesco Scalia). La decadenza dei costumi è tale che nel tempo ai vertici del Pd ritroviamo volti che hanno fatto la storia del generone romano. Marco Di Stefano era un fanciullo al guinzaglio di Gerace, meglio noto come Luparetta, e di Baccini. Dal Ccd all’Udc, capogruppo perfino. I suoi diecimila voti, trasferiti al Pd, gli consentirono di fare l’assessore regionale con Marrazzo e dopo, nel modo storto che avete visto, lo hanno condotto a Montecitorio. Anche Matteo Orfini, al quale auguro di fare un ottimo lavoro, ricorderà di aver ottenuto alle primarie per la candidatura in Parlamento l’appoggio di uno dei consiglieri regionali ripudiati da Gasbarra, cioè Claudio Mancini. Che non si è ricandidato, ha offerto il suo pacchetto a sostengo di orfini ma in cambio ha preteso che Matteo sostenesse la candidatura di sua moglie, Fabrizia Giuliani, alla Camera. Appoggio dato, candidatura perfetta. Oggi Fabrizia è onorevole. Il Porcellum ci ha mangiato l’anima e così ai nepotismi (Umberto deputato figlio di Angiolo Marroni, Claudio Mancini, già vicesegretario regionale e sua moglie Fabrizia, deputata, Micaela Campana, deputata, e il marito Daniele Azzimo, coinvolto nello scandalo ed ex assessore comunale) si è aggiunto un tocco di colore finale che mi fa piangere. Il vertice del Pd attuale era formato da nostri ex nemici. Coratti era di Forza Italia, poi dell’Udeur. Anche Zambeli è un ex di Forza Italia, Di Stefano dall’Udc e Baldi da An. Poi uno dice che perde la fede”.
da: Il Fatto Quotidiano 7 dicembre 2014