DOPO LA DEFENESTRAZIONE, L’EX CAPO DEL GOVERNO RIPARTE DA PARIGI, DOVE INSEGNA. MA PUNTA ANCORA A BRUXELLES
Se può volge gli occhi a terra e batte in ritirata verso casa. Se proprio deve saluta con disinteresse. Mano cortese ma veloce in modo che nemmeno la stretta balbettante abbia il sapore della rimpatriata. Il suo corpo attraversa le vie schermate, i corridoi bui, le caselle laterali del Parlamento. Enrico Letta viaggia a fari spenti, esattamente come dovette ammettere quando Matteo Renzi lo defenestrò da palazzo Chigi: “Siamo andati a fari spenti contro un muro”.
Quel che a noi importa oggi invece è segnalare la meticolosità con cui l’ex premier realizza la sua deliberata scomparsa dalla attualità politica, la scienza che impiega nel defilarsi, la cura oggettiva con la quale attende alle sue future ambizioni seppellendo il presente, cassandolo dal diario. Letta è un unicum. Non esiste nella storia repubblicana un premier che sia scomparso dalla scena in modo così totale, all’apparenza definitivo. Perfino Mario Monti che ha subito la più larga forbice tra popolarità e contestazione, autorevolezza e sfiducia, devozione e dileggio, è riuscito a riaversi dopo un primo, legittimo turbamento emotivo. Monti è riapparso, e oggi se viene chiamato risponde, se è interrogato replica. Enrico no. Rendersi invisibile è un arte, e lui riesce dove nessuno è riuscito. Resiste nell’ombra senza che il nero gli faccia paura. Nessuno oramai più chiede: ma dov’è Letta? Letta è divenuto un ologramma.Continue reading