Il tagliatore di poltrone perde la poltrona. Per Carlo Cottarelli è previsto il rimpatrio negli Usa nel prossimo ottobre. Non è una magnifica notizia? Nel Paese dove lo spreco è elevato a istituzione, l’inutilità a fabbisogno quotidiano, quale altro destino poteva avere il mitico Cottarelli? Non essendovi in circolazione un numero sufficiente di palloni gonfiati, abbiamo sperimentato la gioia dell’uso delle parole gonfiate. Tra queste, su tutte, la spending review. Si recita in inglese per dargli un decoro, una sua personalità. Oramai ci siamo talmente affezionati al concetto che abbiamo iniziato a troncare una delle due parole: per confidenza, e anche perché siamo divenuti degli specialisti della questione, spesso diciamo e scriviamo soltanto spending. Per comodità, per non perdere del tempo inutile, giacché il problema verte proprio sull’utilità dei nostri comportamenti, sulle virtù che devono manifestare, ci fermiamo prima del fischio finale. Centinaia di politici ci hanno illustrato l’imperativo categorico della spending, l’improcrastinabile decisione di far partire la spending. Di pari passo è cresciuto nel Paese la sete di spending, la voglia di spending e anche il bisogno della spending per guardare al futuro con maggiore fiducia, con un minimo di responsabilità e di ottimismo. E per merito del renzismo, della generazione dei giovani, la consapevolezza che d’ora in avanti bisogna puntare al merito, appunto. Chi ha merito ottiene e chi non lo ha sta a casa. Il merito è il marito e la spending sua diletta sposa. Insieme formano una coppia formidabile. Si taglia – attraverso la spending – l’inutile (e quindi il demerito) e si dà forza all’utile (al funzionario, all’ente, al ministero che merita). Da qui il regime che si sta instaurando di meritocrazia.Continue reading