Energie rinnovabili: in Basilicata Teknosolar, una multinazionale spagnola, è arrivata con una proposta: dateci la terra per costruire un impianto solare e avrete una divisa da operaio. Un gruppo di contadini si oppone
L’ORO di Banzi è rosso come i suoi pomodori, giallo come le spighe di grano. Luccica e si distende nel meraviglioso vuoto che separa questo lembo di Lucania dalla Puglia. È l’orizzonte vasto del sud, pianura persa tra i monti. A Banzi e in tutti gli altri paesi dell’alta valle del Bradano la zappa è la regina maestosa della vita. Amica fedele ma crudele, sacrificio perenne ma anche salvezza di chi non ha altro tra le mani che le mani e il pomodoro e il grano in testa. Nessuno finora veniva a cercare i contadini, anzi per dirla tutta chi può ha sempre cercato di scappare da loro, da qui. L’emigrazione svuota le case, riduce le piazze a ritrovo di corpi ormai inabili al lavoro e trasforma ogni viaggio verso nord in un miraggio. Poi, colpo di scena! È successo che qualcuno ha finalmente bussato alla porta delle masserie.
In difesa di pomodori lenticchie e cicoria
Canio Nozza lo hanno cercato nei campi, lui era sul trattore in quella immensa prateria gialla. “Sono venuti dei signori che mi hanno chiesto la terra, la mia terra. Mi hanno spiegato cosa volevano fare: un impianto solare termodinamico, una cosa grandissima. E mi hanno detto che la loro iniziativa avrebbe garantito diversi posti di lavoro. Sicché potrei avere un lavoro nuovo. Però i conti non mi tornano. Io un lavoro ce l’ho e ho anche la fortuna di dare lavoro agli altri”. Canio ha rifiutato lo scambio che i tecnici della Teknosolar, una multinazionale spagnola, gli proponevano: tu abbandoni la zappa e noi ti diamo una divisa da operaio. Specchi termodinamici contro pomodori, olio diatermico al posto dei legumi, megawatt in sostituzione dei pelati, energia solare invece che pane.
Finisco tra questi ribelli dei tempi moderni nell’alta valle del Bradano, un paesaggio infrequente di orizzonti lontani. Alle otto del mattino hanno già due ore di fatica nelle braccia e il legittimo pensiero che il mondo stia raggiungendo la cima del paradosso. “Ci hanno detto che le energie rinnovabili fanno bene perché non inquinano e non finiscono mai. Ma anche i miei pomodori non inquinano, e le lenticchie e la cicoria, la vedi quell’insalata riccia? E anche la capra che mangia l’erba poi fa il latte e io lo vendo. Lei trova l’erba ogni giorno e fa il latte ogni giorno, finché campa. E il grano si miete ogni anno, tra giugno e luglio, e ogni anno ricresce. Col grano fai il pane e col pane ti sfami sempre. Allora dimmi: c’è qualcosa di più basilare, essenziale, improcrastinabile del cibo? Secondo me esisti solo se mangi, perché se non mangi muori. E se muori non esisti più, mi sembra. E allora prima di pensare alle altre cose devi badare a che il cibo finisca nel tuo piatto. Quindi io penso questo: la fame non finisce mai, ma se tu mi proponi gli specchi solari su questa terra coltivata a grano, pomodori, legumi e insalata, significa che il grano e i pomodori e i legumi e l’insalata non ci saranno più. Se consumi tutta la terra che hai cosa ti resta in mano? Lo specchio?”. Si chiama land grabbing: è la scelta vorace del grande capitalismo mondiale che si tuffa nelmercato delle fonti rinnovabili per acchiappare quanti più pezzi di questo mondo. Non solo pendii dolci di colline basse ma ben esposte al sole, non solo montagne spalancate al vento. Servono pianure, e servono grandi anzi grandissime. Le imprese hanno iniziato a conquistare il deserto africano, sono passati ai campi di pascolo, poi ai terreni irrigui dell’Europa continentale più povera, quella dell’Est. La scorpacciata non è finita e hanno adocchiato queste piane del sud d’Italia, e ora si trovano qui, tra Banzi e Palazzo San Gervasio, nella valle del Bradano. La zappa sfama ma non dà vita dignitosa. Ed ecco – perfetta – la proposta della Teknosolar che al governo regionale è parsa così magnifica da mostrare non solo interesse, ma accondiscendenza, partecipazione costituente, emozione, quasi un sentimento d’affetto. La multinazionale espropria 255 ettari di terreno coltivato e ci installa 8640 specchi parabolici che saranno sostenuti da novemila pali. Avrà necessità di acqua, perché ne consumerà 16 litri al secondo. Trasformerà i contadini in guardiani o netturbini, scala minima del livello gerarchico, camerieri della modernità, 25 ne servono non di più, e il grande campo pomperà energia: 50 megawatt al costo più basso di mercato. Moneta sonante, energia che naturalmente vola via, qui non serve si dirige altrove, sui mercati che rendono.
Spunteranno mega tralicci al posto del grano
Serviranno mega-tralicci, e software moderni. Altro che grano! “Hanno bisogno di ridurre il dislivello naturale facendo dei terrazzamenti, quindi dovranno trasportare 400 mila metri cubi di terra da un luogo all’altro. Avranno bisogno di olio (si arriverà a 2300 tonnellate di olio diatermico) e di acqua (16 litri al secondo)”, dice Gerardo Liberatore, ingegnere. Il mega impianto, questo nuovo mostro verde, vaporizzerà tra 25 anni. Entro un quarto di secolo questa tecnologia d’avanguardia sarà superata, incompatibile, ingestibile. E dunque bisognerà rottamarla. Tra un quarto di secolo l’area verrà dismessa e a questi contadini lucani, nel frattempo trasformati in operai, è stata offerta la spigola d’oro dell’incoscienza: “Ci dicono che quando dismetteranno l’impianto ci sarà posto per una grandissima area commerciale. Potrebbero venire supermercati, o industrie. Sono degli impostori e la loro proposta è vergognosa”, dice Domenica Cancellara. Sono 50 partite Iva, piccoli imprenditori della terra che fanno mercato con i loro prodotti e conducono una guerra di civiltà e di buon senso. “Scorticano i nostri terreni, tolgono lo strato più fertile per mettere i loro specchi. Ma distruggono la nostra identità, la nostra storia, il nostro lavoro”, dice Domenico. È la solita corsa a un progresso che non fa progredire, un continuo miraggio che si rincorre senza criterio e che bolla come conservatori coloro che vogliono usare discernimento, prudenza, cautela prima di decidere che la loro vita va buttata al macero. In dieci anni il Sud ha ricevuto e speso circa 100 miliardi di euro: fondi europei che dovevano servire a dare infrastrutture, iniziative industriali, tecnologia e innovazione. Oggi cosa c’è? Il nulla. C’è che questa montagna di soldi ha affamato invece che arricchire. Il continuo saccheggio delle risorse, come quelle messe a disposizione dalla famigerata legge 488 (contributi a fondo perduto per attività produttive), non ha insegnato nulla. Quanto aveva ragione Gramsci: la storia insegna ma ha cattivi scolari. Infatti, dopo l’era delle fabbriche trasformatesi in capannoni vuoti, lamiere vergognose, cemento inutile e sporco, è giunta l’ora della corsa all’energia rinnovabile. “Prima le pale eoliche, conficcate a terra come croci, poi il fotovoltaico e infine il termodinamico. Il Sud è terra di conquista e non si smentisce. Ha fame e non chiede di partecipare agli affari, avanza solo la pretesa di un’ele mosina per essere felice”, dice Vitantonio Iacoviello, animatore di mille battaglie ambientaliste.
Per arrivare alla porta del sindaco di Banzi, attraverso il meraviglioso centro storico salvato dall’alluminio anodizzato e dalle superfetazioni urbanistiche. Nicola Vertone, il sindaco, non è molto alto, ha la carnagione scura e gli occhi di un marrone intenso. Dice: “In passato mi sono fermamente opposto all’apertura di una porcilaia, poi mi sono battuto per evitare che venisse installata una centrale a turbogas dieci volte più grande del termodinamico, nel 2010 ho rifiutato la richiesta di avviare una ricerca petrolifera nel mio territorio. Adesso, con questa proposta, io devo riflettere: dal mio paese stanno partendo tutti e devo fare qualcosa. Sono figlio di emigrante, ho conosciuto l’asino e la zappa, mia madre ha fatto la vedova per una vita e davanti alla possibilità di dare lavoro e un futuro a chi scappa, lei mi chiede perché dico sì?”. È la solita, disperata lotta per la sopravvivenza. Questo sindaco pensa, com’è naturale, al suo paese, e anche un pugno di salari decenti sono oro. Ciascuno fa la sua corsa solitaria verso la salvezza, dimenticando quel che un loro conterraneo, Francesco De Rosa, che insegna italiano in un liceo, ricorda: “Furono realizzati gli invasi di Acerenza e Genzano per dare all’agricoltura un futuro sostenibile, una crescita possibile. Hanno speso miliardi di lire ma quegli invasi, ultimati negli anni ‘90, sono ridotti ad acquitrini”. Ecco il punto dell’ignavia collettiva, della colpa di questo Sud: nessuno chiede la resa del conto, nessuno ha più memoria di quegli invasi, nessuno bada al costo dell’inefficienza, alla vergogna di quello spreco, ai nomi che lo hanno firmato e al risultato che esso determina. Che è riassunto dalle parole di Savino Lioy, una vita con la zappa e sei ettari da coltivare: “Produco latte, pomodori e legumi. La terra dà lavoro ma non valore. Negli anni 80 il latte di mucca si mungeva amano e ce lo pagavano 180 lire al litro. Oggi abbiamo le macchine con cui mungere, e la possibilità di conservarlo: ci offrono 50 centesimi al litro, pagandoci sempre in ritardo. Sei mesi se va bene. E questa volta neanche ci siamo, ancora sto aspettando. E sai cosa faccio io con 50 centesimi? Compro un chilo di mangime che una pecora consuma al giorno. I pomodori me li pagano otto, a volte nove centesimi al chilo. E con due quintali di grano venduto riesco a pagare un quintale di concime. Ecco qua che uno poi s’incazza. Ma io m’incazzo per avere di più dal mio lavoro e dalla mia terra che, al contrario degli specchi, dà sempre da mangiare”.
da: Il Fatto Quotidiano 5 aprile 2014