Perché la sinistra arriva sempre divisa agli appuntamenti importanti e la destra riesce sempre a mimetizzare le differenze? Perché a quelli di sinistra non piace quasi mai vincere e a quelli di destra invece quasi sempre? E perché due persone di sinistra non riescono a tacere ciò che le separa e invece due di destra coprono ogni diversità oltre la ragionevole soglia della logica? Sono frequently asked questions. Domande ricorrenti e ormai banalizzate. Con le divisioni ultime della lista Tsipras, proprio mentre la campagna elettorale per le europee sta per avere inizio, l’antico dilemma si fa questione urgente da affrontare.
Aldo Masullo, studioso della fenomenologia dell’uomo, filosofo con intensi trascorsi in politica, cultore del pensiero progressista, è saggio e ha l’età (novant’anni) per agevolare una prospettiva, illustrare una possibilità e forse un rimedio.
La destra non ha alcuna ansia di cambiare l’esistente. Essa è anzi chiamata a conservare, mantenere integri i rapporti sociali come sono. Il suo impegno incide nel dettaglio e non nella prospettiva.
La destra dunque non ha l’onere di elaborare il nuovo.
Non gli frega nulla del nuovo, non ci pensa, non è suo affare. Conservazione. La parola stabilisce i criteri dei confini. Si sposta poco, e quel poco diventa il necessario. Sul necessario si trova sempre il più vasto accordo.
Siamo noi di sinistra ad avere ambizioni smodate, come Renzi.
Renzi e la sinistra abitano in due edifici separati. Lasciamolo stare e badiamo a noi.
Vogliamo cambiare le cose, trasformare la società. Teorizziamo quindi ipotesi di sovvertimento dei rapporti di forza. Vogliamo trasformare il mondo, e invece sembriamo custodi dell’immobilismo.
Per trasformare devi immaginare, parlare, dire cose. Per dire devi pensare. La sinistra non sa cosa dire perché ciò che deve dire è ancora tutta da inventare.
La sinistra non pensa più.
Il pensiero non è una macchina e internet ci ha suggerito modalità veloci di espressione e apprendimento. Siamo abituati a rispondere con un sì o un no.
Il dramma del pensiero veloce.
Ci frega l’assenza di confronto. Esistevano i seminari. Erano un modo per azzerare ogni gerarchia e avanzare le opinioni in un confronto orizzontale. Vede lei occasioni di questo tipo?
Alla Leopolda c’erano dei tavoli circolari.
Scempiaggini, quella era scena pura, teatro, finzione. Il pensiero nasce dalla riflessione e dal confronto. Non riflettiamo più né ci confrontiamo più.
Siamo impegnati su twitter.
Ecco, bravo. L’origine veloce delle idee, anzi la filosofia del monosillabo. Ti piace questo? Sì mi piace. No, non mi piace.
Siamo senza un pensiero ma litighiamo uguale.
Litighiamo sempre noi di sinistra perché in assenza di un obiettivo comune elaboriamo differenze quotidiane su ogni singolo dettaglio. Perciò non arriviamo mai uniti al traguardo.
Quando c’è odore di elezioni la destra si ricompatta, nasconde ogni rancore, annienta ogni cattiveria.
Per quelli là il gioco è più facile. Le posso dire che quando vivevamo identificando l’obiettivo comune con un dogma, parlo del Pci, qualcosa di virtuoso nel vizio esisteva. C’era il dogma. Chi obbediva era dentro, chi lo rifiutava era fuori. Almeno esisteva il dogma.
Io e lei andremo divisi alle urne.
Io non so ancora chi votare, ecco il punto del non ritorno. Prima si discuteva della ragione di dare la preferenza a quella forza politica. Oggi è il baratro: avanziamo come zombie. Nebbia assoluta. Sempre meno persone sanno come fare, cosa fare.
Il pensiero veloce frantuma le identità. Internet annienta le classi sociali.
Frantuma ogni concezione comunitaria, distrugge la coesione, gli obiettivi comuni, la stessa idea che esiste un medesimo orizzonte. C’era la classe operaia che riteneva, per poter migliorare la sua condizione, di affidarsi a una forza politica. Chiedeva di essere rappresentata, produceva istanze.
Oggi non è così.
Oggi riteniamo che tutto si possa fare con una macchina elettronica. Ma con la tastiera di un intelligentissimo computer che interagisce, connette mondi, costumi, geografie, non riesci a elaborare un pensiero. Pensare non è come calcolare.
Noi di sinistra siamo destinati alla sconfitta. Ci divideremo sempre.
Se non inventiamo orizzonti possibili. Se non pensiamo a cosa fare, a quali trasformazioni dare gambe e forza, siamo destinati a dividerci.
Dobbiamo tenerci Renzi.
Renzi, appunto.
Lei a maggio voterà la lista Tsipras?
Mi sembra un movimento piuttosto improvvisato. Detto ciò, sa che davvero non so cosa fare?
da: Il Fatto Quotidiano 14 marzo 2014
A me sembra che il difetto che penalizza la sinistra italiana, che la condanna a stare sempre alla finestra, a spaccare inutilmente il capello in quattro, a compiacersi narcisisticamente della propria “diversità” (spesso presunta), sia la sua contrarietà all’idea stessa di “governo”. Per non parlare dell’idea secondo la quale tutte le opinioni hanno lo stesso peso, in obbedienza ad un egualitarismo tanto assurdo quanto sconfessato dalla realtà. Per la gran parte di quelli che si dicono di sinistra è inconcepibile che alla fine di una discussione si debba decidere su cosa fare o non fare e che le decisioni prese a maggioranza debbano essere rispettate da tutti.
L’idea è quella di un’assemblea continua, dove la discussione non è pensata come il necessario momento che precede una decisione, ma come un esercizio fine a se stesso, finalizzato a far emergere le tanto amate “diversità”. Non si rendono conto che in politica ciò che conta è “fare”, “agire”, e che a guidare un Paese devono essere le persone più competenti, più preparate. E che queste sono, da sempre, una minoranza.