ENRICO & MATTEO, COSÌ VICINI COSÌ DIVERSI. IL PRIMO PREDATORE, L’ALTRO GOMMOSO: SI CHIUDE UN’EPOCA, NE RESTA UNO SOLTANTO
In fasce e già incapsulati a una poltrona. Babies in carriera, introdotti dal potere affluente e coincidente. Ambedue hanno il corpo da democristiano. Quello di Matteo è più vispo, forse anche un po’ più stronzo, però simpatico, umano, vincente. Enrico è legnosetto, troppo giudizioso, tenero e perfettamente inconsistente. É infatti il nipote meglio riuscito di Gianni Letta, vapore acqueo della Dc, pura condensa, cortina fumogena, nebbia negoziatrice. Enrico è quasi così. Con loro la bugia democristiana ritrova uno stile, un’estetica che la distingue dalla frottola gradassa berlusconiana. Ispirata, patriottica, quella di Matteo: “Voglio cambiare l’Italia non voglio cambiare il governo” (8 dicembre 2013). Già più a corto raggio Enrico, timidamente consenziente: “Io e Matteo andremo d’accordo” (13 dicembre 2013).
LA DISFIDA tra Renzi e Letta, che oggi conosce il suo epilogo, è insieme tragica e avvincente. Chiama il passato, restaura le eterne stanze di piazza del Gesù, la sede della Dc, come se fossimo dinanzi a una diatriba tra Rumor e Piccoli, Gava e Donat Cattin. Cose del secolo scorso, e palazzi del secolo scorso, giustamente pignorati e venduti all’in canto. Ma ora come allora il destino del governo è frutto delle scorribande tra correnti, dei tradimenti e del risultato del congresso. Chi ha vinto si mangia palazzo Chigi, chi ha perso si ferma un giro. Succedeva nella Dc ieri, oggi è il turno del Pd. Oggi, per dire, quella che era l’op posizione a Renzi è parte della maggioranza plaudente. Fingono l’appoggio o sono sinceri? Fingono, si direbbe. D’altronde è sempre stato così. Allontanarsi dal perdente è la misura di minima prudenza. “Con Letta restano la De Micheli, forse la Meloni e un pezzo di Boccia”. Sfrontato, gasatissimo, sicuro. Matteo dice: “Tutti mi chiedono di prendere le redini del governo. Tutti. E piuttosto di stare al fianco di uno che non sa guidare, mi metto al volante anche se rischio l’osso del collo e forse vado a sbattere”. Matteo è capostipite dei turbodemocristiani, una specie che ha pochi protagonisti nella storia felpata di quel partito che neanche ha conosciuto. Arrembante, disinvolto, anche troppo. “Secondo me è un po’ pazzerello”, dice di lui Pippo Civati. É un distruttore genetico, e questa forse è la sua unica virtù. Ha rottamato, e ha fatto bene. Ma poi ha ricomposto, sussunto, agevolato, riunito nel potere anche gli infedeli. Finirà con un D’Attorre sottosegretario e un Cuperlo ministro? Possibile. E in verità coerente col personaggio. É un uomo sempre in fuga. Lui da solo. In bici, a piedi, che avanza o scompare. Fanno tenerezza i suoi deputatini al Parlamento: non sanno né sono autorizzati a parlare in nome del Capo. Che è malfidente e i suoi cari li fa ruotare come fossero (e lo sono) ragazzi della Primavera integrati temporaneamente alla prima squadra. Qual è la prima squadra di Matteo? Boh! Il bello o il brutto di Matteo è che alle idee non dà struttura né respiro. Oggi fa e domani disfa. Però ha sempre pensato che Enrico fosse da rottamare, e l’ha trattato come quei meccanici con l’olio esausto. Goccia a goccia, giorno dopo giorno ha piallato l’amico e riempito il bidone. Un breve ma quotidiano aerosol di critiche: il governo gli è parso fannullone, il rimpasto gli dava l’orticaria, le auto blu dei ministri erano ripugnanti. Infatti lui sarà il più giovane premier nella storia della Repubblica, e il più cool. Enrico è un sommergibile, Matteo un motoscafo d’altura. Corre perchè non ha tempo da perdere al punto da apparire senza meta. Lui da solo. Lui, non il partito, anzi senza il partito. É dichiaratamente vorace, e i tratti parossistici della sua ansia sono evidenti.
HA TIRATO FUORI Berlusconi dagli arresti domiciliari per inaugurare la stagione costituente, si è accordato con Verdini per l’Italicum. Mangiato un boccone si è tuffato su un altro: ora ha il governo da comporre. Letta, democristiano dell’antichità, ha reagito troppo tardi: “Io chiedo la conta. Chiederò il voto sul mio governo e sul mio patto di coalizione. Dev’essere Renzi a sfiduciarmi”. Troppo tardi, e infatti tutto andrà come previsto. Anche Napolitano si è fatto da parte e ha ritirato il patronage. Si apre la nuovissima stagione renziana. Che è come quelle auto con la carrozzeria identica alle altre ma il motore truccato. Vanno più veloci, fanno più rumore ma inquinano anche di più. Matteo è un inquinatore professionista, è un frullatore perpetuo di slogan, egli stesso è un continuo effetto ottico. Un giorno ti sembra il figlio di Blair, l’altro il compare di Verdini. Un giorno è progresso, l’altro è conservazione. É un italiano vero, canterebbe Toto Cutugno. É uno scacciapensieri e garantisce che lui farà meglio di chiunque. Galvanizza, ottimizza, massimizza. Un predatore. E se sarà così, quando ce ne accorgeremo sarà tardi.
da: Il Fatto Quotidiano 12 febbraio 2014