La questione da politica si fa psicanalitica, e ci sarebbe bisogno di un approfondimento diagnostico per conoscere le cause che stanno spingendo i leghisti al contrassegno barbarico del corpo di Cécile Kyenge, del colore della sua pelle in luogo delle sue idee. È evidente la regressione spaventosa da movimento del Nord, voce alterata ma credibile di un vasto umore popolare, a sparuto conservatorio della cafoneria razzista, espositore dei più antichi e scoraggianti cliché su noi bianchi e loro neri, anzi negri. Noi civili e loro no, noi dolci e loro sgraziati, noi puliti e loro sporchi. Noi belli e loro? “Quando la vedo penso a un orango” disse lo statista Roberto Calderoli, aprendo le danze antropologiche e consegnando questa donna allo sputo collettivo, alla denigrazione personale. E così di volgarità in volgarità si è giunti al calendario delle apparizioni pubbliche della Kyenge sulla Padania, forse per tener viva la sputacchiera. Per non farci mancare niente ieri la deputata Iole Santelli, che leghista non è ma calabrese di Forza Italia, dunque teoricamente in grado di conoscere le sofferenze di chi emigra e anche le violenze e le umiliazioni a cui è sottoposto, ha amabilmente ricordato che le donne nere (o negre?) hanno la fortuna di non doversi truccare, e Cécile, che è nera (o negra?) pure naturalmente.
E COSÌ il ministro per l’Integrazione è conosciuto in Italia solo per essere costantemente vittima della folata razzista. La sua foto troneggia sui giornali solo per quel che riceve non per quel che dà, soltanto per le parole di odio e non per le sue azioni di buongoverno. Siamo chiaramente in presenza di un sequestro dell’intelligenza perché l’effetto che si produce è opposto alle presunte intenzioni. Cosa ha fatto in questi mesi il ministro e cosa non ha fatto? È una domanda che rimarrà inevasa, come pure sconosciuta sarà la risposta a un quesito semplice: le azioni che ha messo in campo per promuovere forme di integrazione dignitose per i migranti, iniziando a liberare la parte più afflitta e diseredata dagli orribili centri di internamento dove sono costretti, sono risultate efficaci oppure no? Ecco: non sapremmo rispondere a questa domanda perché, al netto delle urla e delle offese, poco e niente si sa dell’operato della Kyenge. Non è parsa titolare di performances di governo invidiabili, non risulta che la sua strategia di integrazione sia divenuta patrimonio comune del Parlamento e nemmeno dello stesso esecutivo. Mostra buona volontà e basta. La strategia dell’attacco animalesco, la continua proposizione dell’insulto o del rilievo intimamente razzista come critica politica rende inarrivabile il capolavoro cafone di blindare ciò che si vuol abbattere.
da: Il Fatto Quotidiano 16 gennaio 2014