TRADITO ANCHE DAI SUOI, BERLUSCONI TIENE IL PUNTO SULLA LINEA ANTI-GOVERNO E ATTACCA ENRICO LETTA E NAPOLITANO: “SONO INAFFIDABILI”
L’inizio del romanzo nero, l’annuncio delle fiamme che divamperanno nel Palazzo, ha un’ora e una data certa. Sono le 20,20 di martedì, primo giorno d’ottobre, quando Enrico Letta respinge le dimissioni dei ministri ribelli. È il segnale che il “tradimento” si è consumato, il parricidio ha avuto compimento. È la prova che Angelino Alfano ha impugnato la spada contro Silvio Berlusconi. L’unto del Signore ora è un ex. Ridisceso in terra parla da uomo disperato ma ancora potentissimo: “Napolitano e Letta hanno permesso il mio assassinio politico”. Indica il movente e gli ideatori della strage forzista, li accusa di essere i mandanti della ribellione che si consuma con la mortificazione estrema di vedere il suo assistente personale, cucciolo fedele posto al comando del partito, trasferirsi armi e bagagli a palazzo Chigi.
LE LARGHE INTESE sono già macerie, l’inciucio ridotto a quello che è: una somma di assicurazioni richieste, adempimenti pretesi, “interferenze”, parola contenuta in un comunicato del Quirinale, che si ritenevano dovute. C’era un patto, dice Berlusconi. “Letta e Napolitano avrebbero dovuto rendersi conto – elenca in una lettera al settimanale Tempi – che non ponendo la questione della tutela dei diritti politici del leader del centrodestra”. I due al timone dell’Italia sono stati “inaffidabili” con colui che li ha aiutati a issarsi a prua. Di più: hanno tramato, convenuto, definito il piano della sua estromissione. È il finale di partita, di una partita infinita che ha ridotto come un cencio il Paese, e in campo c’è una bolgia. Ma la palla questa volta è nelle mani dell’arbitro. Questa volta il tentativo di de-berlusconizzare il governo è compiuto fino alla fine: “Io non voglio i suoi voti”, dice Letta ai ministri irredentisti. Ricacciarlo all’op posizione, togliergli sangue, avvelenarne i pozzi. È un disegno ardito che necessita di una prova di forza collettiva: non qualche transfuga ma il gruppo dirigente giovane, quello coltivato dentro la terra democristiana. Via Berlusconi e con lui i pasdaran, al rogo la pitonessa. “L’operazione si fa se ha un largo respiro, se il tuo governo arriva almeno fino al 2015”, chiede Alfano. Serve tempo per ossigenarsi. Il tempo è la sola speranza che la vittoria sia consegnata ai posteri. Ottiene l’assicurazione. Un comunicato del Quirinale spiega che almeno fino all’anno prossimo non si muoverà foglia. In politica le bugie sono necessarie: il 2014 è chiaramente un approdo breve. Via via che passeranno i mesi il brodo si allungherà. Maurizio Lupi, rappresentante di Comunione e Liberazione dentro al governo, si barrica nello studio del premier. Sembra un richiedente asilo: saluta con la manina i giornalisti in attesa. Dite a casa che sto bene. Angelino è invece rinchiuso nel salone di palazzo Grazioli nel più cruento scenario che la sua vita gli potesse far immaginare. Uccidere il padre, sperando di esserne capace. Freme per essere liberato e correre al sicuro. Stamane scruterà i senatori del Pdl (25? 30?) offrire la fiducia, recidere ogni legame da chi ha dato loro vita e guarentigie. Sarà una rassegna epica di volti, di gesti, di corpi che dondoleranno nell’angoscia. L’inquadratura del parricidio rimanda alla storia. Mondo è stato e mondo sarà. Berlusconi si disperi del suo Bruto. Ma la disperazione non si concluderà con le lacrime al cospetto di Dudù, il testimone canino di questa tragedia. Perchè gli avvisi, e i preavvisi, di un randello che sarà di nuovo impugnato da B. versione Caimano, sono numerosi e attendibili. Ventiquattro ore fa l’ultimo veleno fatto entrare in circolo, sempre direzione Quirinale: la telefonata di Berlusconi che accusa il capo dello Stato di aver tramato contro, ingiungendo ai giudici della causa di risarcimento danni a De Benedetti di riaprire la camera di consiglio e aggravare la condanna: aggiungere milioni di euro alle centinaia che avrebbe già dovuto sborsare. “Tu deliri” gli ha risposto Napolitano. Un pugno contro l’altro. Sono colpi sotto la cintura quasi quotidiani. Perchè è ancora caldo il comunicato nel quale il Colle, contestando le dimissioni di massa imposte da B. ai suoi parlamentari, riferiva l’obbligo da parte del capo dello Stato o del Primo Ministro “della non interferenza in decisioni indipendenti dell’Autorità giudiziaria”. Tu mi hai chiesto di interferire, ma io non posso. Questa la verità di Napolitano. Contro la quale Berlusconi ha opposto il micidiale: me l’avevi promesso. Saranno fiamme, sì. E i segnali dell’incendio a bordo, di un governo che nasce sotto il cattivo auspicio di un bombardamento mediatico concertato e in qualche caso documentato, si rilevano in un editoriale del direttore del Giornale del 3 settembre scorso. Sallusti (“sei come Beria” gli ha detto Cicchitto) ha avvertito il Colle, anzi “l’artificiere” Napolitano: “Un passo falso e salti in aria anche tu”. Fuoco in arrivo, si salvi chi può.
da: Il Fatto Quotidiano 2 ottobre 2013