È il milite ignoto di Forza Italia. Deputato di penultima fila, ultracinquantenne e prossimo esodato della politica. Il suo destino è segnato, è un esubero di Forza Italia e non ha cuore di dirlo a casa, alla moglie. Ha vergato e sottoscritto le maledettissime dimissioni. “Me le hanno fatte firmare durante la seduta alla Camera. Nemmeno la cortesia di una spiegazione. Scrivi e firma. Vedesse le donne, le amazzoni, come hanno subito conquistato la prima fila. Guerriere dell’esercito di Silvio. Sanno che i voti ce li ha ancora e si impegnano per conquistarsi la rielezione. Io invece, e con me altre decine di nullatenenti, siamo carne da mandare prima in guerra e poi al macello. Non siamo dei loro, non siamo i fidatissimi, abbiamo amicizie oblique. Verdini ha già fatto la croce e deliberato. Neanche ti calcolano, ti salutano. Anche l’assemblea faceva paura. Altro che Forza Italia, sembra il partito comunista. Il presidente non è lucido, e quelli se ne approfittano. Gli fanno credere che lo arrestano e lo spingono a essere sempre più duro. O rompi o finisci dentro. O rompi o ci asfaltano. Finisce male questa storia, lo sento”. Provi a resistere, dichiari la sua opposizione. Tiene alto il suo profilo, dimostra coraggio, i giornali parleranno di lei. “Se pubblica il mio nome sono finito. Meglio essere vile”. La paura è un sentimento umanissimo. Si dice che anche Annibale avesse terrore in battaglia. “Non sono mai stato bravo in storia. Ilmio incubo ricorrente è questo: mentre attraverso piazza Montecitorio mi si para un microfono davanti e la ragazza vestita di nero mi chiede: in che anno c’è stata l’unità d’Italia? E io che ne so, figlia mia. Sa quante volte sono andato su Google a cercare la data? La dimentico sempre”. 1861. “Adesso che lo dice io ricordo. Poi passa e fugge via. Mi confondo con le Olimpiadi”. Non tutti sono talenti. “Ho fatto il massimo possibile, sono intraprendente e avevo un lavoro che mi dava soddisfazioni. La politica mi ha rovinato. Se ci dimettiamo adesso io non ritorno più a Roma. E a casa cosa trovo? Ho trascurato lo studio, e dirottato i clienti ad altri colleghi. Non vorrei imitare Razzi ma uno si fa due conti. Al mio secondo mandato mi sono detto: posso farmi il mutuo. È alto, era un passo necessario. Ma se esco di qui prima del previsto i conti si sballano. È la vita di un uomo che ha famiglia e nessuno ha rispetto”.
BERLUSCONI le ha dato tanto. “Devo tutto a lui. E se avessi idea di un uomo lucido lo seguirei ovunque. Lei non l’ha visto: è terrorizzato, incupito. Gli danno una dose quotidiana di incubo. I Verdini, le Santanchè, gli avvocati lo stanno trascinando alla guerra, gli fanno vedere manette ovunque. Un Politburo che comanda e silenzia ogni dissenso. Se non sei con loro sei fuori. Mettere Brunetta capogruppo, poi…”. Brunetta la fucilerà. “Se scrive il mio nome mi fucilerà”. Chi non sottoscrive quel che dice ambisce a falsificare la realtà. “Facciamo così allora: mi dia altre due settimane, fino al 4 ottobre io sto con loro. Vado in piazza con loro. Se la situazione precipita, come credo, il 5 ci vediamo di nuovo qui, al tavolino di questo bar. E proseguiamo il colloquio interrotto”. Da qui al 5 ottobre cosa cambierebbe per lei? “Ho come la sensazione che se le dimissioni saranno poste ai voti, il Pd giocherà come il gatto col topo. Accetterà quelle degli Schifani e terrà di conto invece chi ha idee come le mie più ragionevoli”. Farà il topo. “Farò il topo. L’unica possibilità che ho per salvarmi è che non si vada alle elezioni. Farmi almeno questa legislatura per intero. Credo che il presidente Napolitano non voglia crisi cruente e che Enrico Letta, da buon democristiano, sappia scegliere tra noi”. Sta annunciando la diserzione. “Mi dica se ho un’altra chance, una diversa via di fuga. Dieci giorni ancora di inabissamento e poi mi dichiaro”. È politicamente e moralmente riprovevole ciò che sta per fare. “Io voglio bene a Berlusconi, ma non mi dà una sola possibilità di spiegargli il mio stato d’animo. E’ circondato da pazzi furiosi”. Chieda udienza. “Neanche mi fanno entrare. Conto meno di Dudù”.
da: Il Fatto Quotidiano, 28 settembre 2013