Chi va in bici non pedala soltanto. Documenta col suo sudore la resistenza alla fatica, la tenacia con cui affronta la risalita, la tempra da combattente. Il ciclista con il suo giro d’anca non fa solo sport, non passeggia e gode ma denuncia i vizi della città, le devianze cafonal, lo spartitraffico interrotto, la criniera di una fabbrica abusiva, il mare sporco, la costa sciupata. Il ciclista non è solo un pedalatore ma un predicatore itinerante. Con le sue ruote, e a volte anche la borraccia e il casco anticadute, propone un modello, un’idea, uno stile di vita. E se il ciclista è un politico la forza espressiva del suo agire si duplica, si espande, si fa ideologia, totem. Cosa sarebbe stato Romano Prodi senza bici? Meno della metà di quello che è. La bici è stato il suo partito, con la bici ha traghettato l’Italia verso l’Ulivo, lui davanti sempre gli altri dietro. Nella pedalata la differenza sia politica che antropologica, e infatti diceva “pedalare” quando illustrava l’opera di governo, gli stati d’avanzamento, le difficoltà da superare. Pedalare: sinonimo di faticare, andare avanti, costruire o anche distruggere il mondo antico per edificarne uno nuovo. La bicicletta è il vettore più umile e consenziente. Il mulo ha bisogno della biada, l’asino almeno di una carezza. La bici è un tubolare di ferro, è l’essenziale. Non sputa, non graffia, non sbrocca. Patisce senza dolore, costruisce senza pretesa. Perciò Ignazio Marino per conquistare Roma si è manifestato a cavallo della bici. Lui avanti, incravattato e sorridente, i vigili dietro, pedalando finalmente. Non staremo qui a riferirvi che il corpo municipale è dotato di bici con motorino elettrico, dunque la pedalata è assistita, più confortevole. É una novità di rilievo il fatto che dove c’è una bici c’è ora il segno del potere che ti guarda, ti ascolta e ti giudica. Ieri mattina ai Fori Imperiali liberati a metà dal traffico il tassista vedendo una bici al centro della carreggiata, ha esclamato: “C’è il sindaco!”. Ed è stata una esclamazione densa di ansia, un po’ atterrita, preoccupata, proiettata verso il futuro possibile, prevedibile: Marino che chiude altre strade, sbarra altre vie, relega a dispiaceri gli antichi piaceri e sequestra i vizi di noi romani, acquisiti e nativi. Ma ieri in bella vista c’erano due bici, non una! Il timore, che poi si è dissolto, è che anche Matteo Renzi fosse stato conquistato dal partito della bici, ed era chiaro che questo solo fatto avrebbe mutato le caratteristiche della sua candidatura. Non più sindaco di tutti, di quelli di destra e di quelli di sinistra, dei viziati e dei morigerati, dei ricchi e dei poveri, dei Suv e delle Multipla. Con la bici Renzi faceva una scelta di campo, un percorso inverso, un indietreggiamento selettivo. Chiaro che se Renzi fosse salito sulla bici e avesse pedalato, e naturalmente sudato, avrebbe preso partito, separato il bene (la bici) dal male (tutto il resto). Per fortuna non è successo. Non sappiamo se ci sia stata discussione, contrasto e infine votazione oppure se la scelta di non pedalare sia stata fortuita. Ma certo è un sollievo. Renzi resta Renzi. Cioè un moderno, caotico personaggio carismatico, un miscuglio di buone maniere e cattive abitudini. Con la cravatta e con la bandana berlusconiana, con gli industriali e con gli operai. Amiamo queste figure mediane perchè appaiono più abbordabili. Non è un caso che dopo Prodi nessuno più (ad eccezione del pericoloso Marino) abbia voluto la bicicletta. Si, è stata vista la Santanchè su una lussuosa due ruote, ma certamente l’ha fatto in riva al mare e in favore di fotografo. Anche Galliani va in bici, ma quando è in Versilia. Come Moratti, del resto. Ma i pedalatori veri, gli integri, non hanno bisogno delle belle stagioni. E soprattutto: indossano il casco.
da: Il Fatto Quotidiano, 4 settembre 2013