NELLA CAPITALE BALLOTTAGGIO TRA I FAVORITI (MA MANCANO ALL’APPELLO MEZZO MILIONE DI VOTI)
Colpisce il numero della grande diserzione: cinquecentomila romani hanno lasciato a casa la tessera elettorale. Ed è risultato perfetto, nella sua conseguenza, lo slogan del vincitore, Non è politica. È Roma, che trascina a una vetta praticamente insuperabile, oltre il 40 per cento dei voti, Ignazio Marino, solitario cercatore d’oro, appiedato dal suo partito e perciò – forse – agevolato nell’impresa. Colpisce, prima ancora della disfatta di Gianni Alemanno, il capitombolo del Movimento 5 Stelle che ruzzola all’ingiù restituendo all’Italia l’immagine di un gruppo politico caotico, più parolaio che costruttore di sogni, incapace di tradurre la voglia di cambiamento in qualche segno visibile. Grillo lascia a casa la metà dei voti che due mesi fa aveva ottenuto e il suo leader capitolino,Marcello De Vito, si conferma gregario senza speranza. Il risultato, una piccola catastrofe, è ricondotto nei binari della normalità da De Vito: “Nulla di drammatico”. Invece, forse, qualcosa è successo.
IL QUADRO si completa nella caduta verticale di Alemanno, un sindaco che per tutto il mandato è stato inseguito dagli scandali, dalla rete dei mille parenti di cui è intessuto il potere romano. Perde Alemanno, ma perde anche Berlusconi. Se Marino ha tolto di mezzo, per sua fortuna, ogni riferimento al Pd, la destra storica, fino all’altro ieri testuggine formattante del comando in città, ha provato a chiamare il popolo di centro destra al voto, invocando come nume tutelare il suo santo protettore, il Silvio nazionale, che però nulla ha potuto. Vince il genovese con lo zaino in spalla, che ha conosciuto la politica dopo un’esperienza professionale di eccellenza, riconosciuto specialista nella cura e nel trapianto del fegato. Vince Marino, ma ha sul petto la stimmate della dissociazione dalla politica del suo partito. Contro il governo con il Pdl, lontano dall’apparato, fuori dai vortici di potere, con un baricentro dichiaratamente spostato a sinistra. Nichi Vendola ieri sera è infatti subito saltato sul suo palco a gridare: “Dobbiamo togliere Roma alla destra”. Seguito, è vero, da Guglielmo Epifani, il neo segretario del Pd. E Marino, come proposito iniziale: “Trascinare nella battaglia gli elettori grillini, le loro battaglie sono le nostre”. Se lui è in testa è anche perchè è il primo candidato a lasciare una poltrona prima di averne agguantata un’altra. Si è dimesso da senatore rifiutando una rete di protezione che nell’età del poltronismo è risultata una rarità. Una decisione a suo modo coraggiosa che ha fatto acquistare senso politico e credibilità a una seconda promessa elettorale: “Alla fine del mandato di sindaco di Roma lascerò la politica”. Ora si gode la vittoria, un risultato che proprio Epifani converte in stimolo “incoraggiante” per il governo. È così? C’è da stare attenti con i miraggi, usare prudenza mai come adesso non è una clausola di stile. Un romano su due ha rifiutato di andare a votare, e la metà di Roma che è andata al seggio ha scelto il candidato diffidente verso il governo, in qualche modo estraneo al quadro di comando del Pd. Ma se vince Marino non perde solo Alemanno. Per la prima volta perde la Curia che ha fatto conoscere la sua opinione contraria. E anche la struttura imprenditoriale cittadina, che nella città si esprime attraverso l’azienda del cemento, è fuorigioco. Il capostipite dei costruttori, Francesco Gaetano Caltagirone, ammaina bandiera. Ha dichiarato guerra a Marino e ha perso questo round. Il giornale che possiede, Il Messaggero, ha dato prova di continue incursioni polemiche, una su tutte: la vicenda delle note spese che coinvolse il candidato sindaco, all’epoca responsabile dell’Ismett, l’istituto dei trapianti di Palermo, con l’amministrazione della struttura sanitaria. Lui e la classe agiata romana hanno dirottato le preferenze su Alfio Marchini, collega imprenditore che grazie a una sapiente campagna elettorale ha consolidato con una cifra che supera il dieci per cento un risultato niente affatto scontato, pescando un po’ di là e un po’ di qua e costruendo una base utile alle sue prossime mosse: la presentazione di una lista alle Europee. “Non mi fermo qui, vado avanti. È stata un’esperienza bellissima e gratificante”. Forse si aspettava di più, e si è davvero ritenuto, quando il numero delle astensioni era tale da immaginare come possibile un grande boato, l’esplosione dei grandi partiti e che al ballottaggio potesse andarci qualcun altro. Non è così. Marino se la deve vedere con Alemanno, e sarà feroce questa appendice elettorale. Il primo sindaco uscente che parte con un handicap significativo. Si tenteranno colpi anche sotto la cintola. C’è da attendersi una guerra verbale alla quale, di sicuro, Berlusconi non si sottrarrà. Sarà di nuovo il pericolo comunista, il refrain di successo, a farla da padrone. Scommettete? da: Il Fatto Quotidiano, 28 maggio 2013