Roma, in pochi vanno in piazza per sentire i candidati sindaco

MEZZA VUOTA QUELLA DI ALEMANNO, ENORME (RISPETTO AL PUBBLICO) QUELLA DI MARINO. SI SALVANO SOLO I CINQUE STELLE E MARCHINI


Roma non ha fatto la stupida stasera. Non ha piovuto. Certo fa il freddo d’ottobre e già tutti i maglioni sono traslocati nell’armadio, “e con questa camicetta come fai?, non gliela facciamo più ad aspettare”. Marisa e Lina sono venute a San Giovanni ma si arrendono alla brezza gelata. È la prima fuga dalla prima delle quattro piazze che si rifiutano di riempirsi malgrado abbiano sistemato il castello gonfiabile con gli scivoli e topolini sorridenti e bambini al centro del prato, con gli stand a stringere l’inquadratura. “Macchè, siamo pochi stasera”. La mestizia con la quale Simone porta la sua bandiera non cancella l’amore meraviglioso che ancora lo costringe ad essere qua, nonostante il dolore. “E quando vi vedo in televisione, voi del Fatto, mi viene paura perchè ci date tante legnate. Non conto niente ma anch’io le sento addosso perchè il partito è la mia famiglia, papà si chiamava Palmiro. Dimmi un po’, ma cos’hanno veramente combinato quelli?”. Simone è come quei genitori in pena che sono alla ricerca della verità sui figli, la rivelazione. Epifani non si vede, neanche Ignazio Marino. “C’avemo tanti professori universitari, tanti intellettuali”: la coppia di compagni maturi non si capacita, la scelta non sembra la migliore, malgrado quel che dice Goffredo Bettini, il dominus del partito romano: “È l’Argan della scienza. Non ha il sacro fuoco del candidato, questo è vero…”. Da via Merulana sparute avanguardie della terza età, con la bandierina bianca e il Daje, il motto elettorale stampato su cartoncino che oggi è un’esclamazione fuori posto. “Sto andando a vedere chi c’è in piazza, ma certo la città è sfiancata, lo senti”. È Mimmo Calopresti, il regista, e si sta avviando col passo lento del militante recidivo che non ce la fa a fermarsi. Malinconico tango in questa piazza, “eppure Ignazio ha una sua caratteristica: agguanta i problemi e se carbura non lo fermi più. Ha difficoltà nel rompere il clima, forse perchè è genovese e lo vediamo estraneo alla città”.
FLAVIO, MEDICO OTORINO al Sant’Eugenio, sicuro del sol dell’avvenire. Si sta larghi sul prato. Ne siamo tremila? Quattromila? Anche di più? “Miei cojoni!” esclama un uomo con la barba del sessantotto. Sarcasmo freddo, disorientamento della classe operaia: chi siamo, dove andiamo. Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria: “Il nostro problema è la base che non si fa sentire, che non protesta, dileguata in una depressione solitaria”. Ecco quel che rimane di un popolo, che pure è doppio rispetto a quel che si annuncia laggiù, appena conclusa la discesa della bellissima via dei Santissimi Quattro Coronati. Roma è a quattro piazze stasera e per raggiungere la seconda, quella di Berlusconi e di Alemanno, passo davanti a Pasqualino al Colosseo, il ristorante dove l’egregio onorevole Fiorito ordinava per sé e i numerosi amici spaghettini all’astice, calamari, tonno, frittura mista, gnocchetti, qualche volta la carne alla brace, l’ottimo abbacchio. Una ricevutona di poco inferiore ai ventimila euro: ha pagato Pantalone per tutti. Pasqualino è stato il punto ristoro del Pdl laziale, ora è deserto. Un signore solo al tavolino ascolta la radio: “Basta con le bande!”, dicono nel talk elettorale. Il palco di Alemanno è ancora più mesto di quello di Marino. Impalato davanti l’Arco di Costantino, consente al migliaio di passanti un largo passeggio. Una coppia di sposi smamma, le foto sono impossibili oggi, bisogna salire verso Colle Oppio. Turisti americani interdetti, giungla di poliziotti sfaccendati, pochi fascisti ma comunque resistono anch’essi all’oblìo. Se vince Alemanno non sarà grazie a loro, ma ai mille imprenditori che per esempio hanno sborsato mille euro a testa alla cena di degustazione elettorale. Una sola cena è valsa, complice Silvio Berlusconi, un milione di euro. Gli assegni sono stati prontamente sganciati e l’attesa ripagata. Non qui, non stasera, ma due pomeriggi fa, al Tempio di Adriano, sede della Camera di Commercio. Lì Alemanno ha spiegato, con la voce di Andrea Augello, il suo spin doctor, la meraviglia che attende tutti: “Sono stati sbloccati 571 milioni di euro che andranno ai creditori del comune di Roma. Dal 21 maggio sono iniziati i pagamenti, e tutti gli uffici sono impegnati allo spasimo per dare risposte concrete, adempiere a un obbligo, risollevare il morale e il portafogli di tanti imprenditori che hanno lavorato per Roma e attendono il frutto di quel lavoro”. “Questo è voto di scambio, un interminabile voto di scambio con il quale si condizione il voto”. È un imprenditore danaroso, capostipite di una famiglia che ha vissuto nell’era e nell’ombra della sinistra, a parlare. Alfio Marchini, il quarto dei gareggianti, si concede agli amici nel parco Schuster. Lo affianca Antonello Venditti, anch’egli traslocato dalle storiche posizioni, nel finale di partita che ha giocato al meglio. L’aria qui è più festosa, il clima è più ottimista. Sul taxi Parigi 48: “La metà di noi voterà Marchini. Alemanno ha deluso. E senza i tassisti Alemanno perde”. Voteranno Marchini anche la borghesia, anche i Caltagirone, anche Casini e Mario Monti. Un po’ di centro, un po’ di sinistra, un po’ di destra. Un mix che conduce a cifre misteriose, più elevate del prevedibile. Marchini ha avuto buoni consiglieri per la comunicazione, e il suo “Roma ti amo” è divenuto un refrain che ha collegato il volto del ricco e bello a un impegno che è sembrato sincero. “La borghesia vota me perchè ha trovato un pazzo che si mette in gioco. Ma con me si mette in gioco tutto quel mondo”. “Amici, sono a Radio Popolare e cerco di capire dov’è la sauna. Roma ti amo”, scrive il suo alter ego “Arfio”. Lui ci gioca. L’autoironia produce consensi. Ce la farà? “Se vado al ballottaggio scelgo come vice sindaco De Vito, il candidato dei cinquestelle”, ha infine dichiarato. Non è certo, anzi non è proprio così. Ma insomma è l’affermazione della potenza del voto irregolare. Né Pd, né Pdl. Lo sciopero dei bus chiama tutti al metrò. Siamo a piazza del Popolo. Per metà è vuota, ma Beppe Grillo parlerà intorno alle nove di sera, e basta già questa metà a rendere questo popolo il più numeroso dei quattro in gara. Fosse questione di numeri, la classifica sarebbe presto detta: primo Grillo, secondo Marchini, poi Marino e infine Alemanno. Ma i voti si contano nell’urna. “Vuoi fare il rappresentante di lista?”, mi chiede una militante “Ma è un giornalista!” la rimprovera Luciano Emili, candidato al consiglio comunale. La ragazza retrocede: il giornalista è la figura più temuta e odiata dalla tribù grillina. Un po’ di preoccupazione c’è e si vede: “Paghiamo la rappresentazione che avete fatto di noi”. “Siamo inesperti, capite che per noi è difficile fare ogni cosa per bene?”. Certo che sì, capiamo. “Ah, ma non aspetti Grillo?”.
da: Il Fatto Quotidiano, 25 maggio 2013

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