La malattia del Partito democratico si chiama autismo. L’ambizione di offrire un orizzonte unico a chi vi milita o soltanto simpatizza pare destinata a perire sotto il peso dell’irresponsabilità della sua classe dirigente. Si ha l’impressione che la testa del partito non conosca il proprio corpo, non ne capisca più le necessità, le speranze, le domande, le urgenze. È come se avesse paura di ascoltare perché se lo facesse troverebbe avanti a sé un’altra idea e un altro Paese e altri bisogni e altri doveri e altri diritti. Questo partito, che oggi chiama Guglielmo Epifani a farsi largo tra le macerie e tenere in vita una casa senza più fondamenta, resta però ancora l’unica formazione che ha luoghi in cui dibattere, ritrovarsi. È l’unica sigla politica che in ogni capoluogo abbia un indirizzo, un portone, un campanello dove bussare e qualcuno che apra. Ha ragazzi preparati, capaci, vogliosi di contribuire alla fatica, desiderosi soltanto di essere ascoltati. Continue reading