Romano attacca i carnefici: “Siete voi i responsabili”

IL GIORNO DELLE VENDETTE E DELLA VERGOGNA: NEL TRANSATLANTICO IL PD SI TRASFORMA IN UNA CASBAH. I SUOI: “QUESTO È UN ASSASSINIO POLITICO”

Chi mi ha portato a queste decisioni se ne assuma la responsabilità”. Nel giorno in cui il Pd sotterra sotto i colpi di 101 voti nemici la figura e la storia di Romano Prodi, il de cuius decide di trascinare l’intera classe dirigente nel luogo dell’oblìo. Questa breve e definitiva accusa di alto tradimento giunge alle otto di sera dal Mali, dal fronte caldo della guerra sahariana. È un giorno orribile per il professore, cade lui proprio mentre muore il suo più fraterno amico e collaboratore politico, Angelo Rovati. È insieme disfatta politica e tragedia umana, letterale e teatrale cupio dissolvi degli eredi della sinistra italiana. Corpicini che escono dall’aula coperti dalla vergogna sottile di chi ha ormai un conto aperto e una ostilità dichiarata con la reputazione. Le mani nei capelli di Rosy Bindi, figura emblematica di un potere declinato nella farsa, segnano l’atto finale della decimazione alla quale non sembra esserci riparo.

BINDI SI DIMETTE da presidente dell’assemblea mentre i grandi elettori esondano nel Transatlantico e iniziano a darsele di santa ragione. Il torinese Stefano Esposito: “Sono dei codardi, questo è il punto”. Il fiorentino Lapo Pistelli: “È una guerra per bande da cui non se ne esce. Sputtanare Prodi in questo modo rappresenta un assassinio politico. Bisogna fermarsi tutti, altrimenti qui bruciamo un candidato al giorno e alla fine proporremo Topo gigio”. Sparito dalla scena Pier Luigi Bersani, sparito anche fisicamente. Non ha retto al colpo subito dalla debacle della candidatura di Franco Marini e forse non ha ha avuto forza e cuore per organizzare ieri le operazioni di voto, controllare, chiamare, assicurarsi che la garanzia data all’alba attraverso il presidente della Liguria Claudio Burlando a Romano Prodi, e confermata sempre telefonicamente alcune ore dopo, fosse un impegno solenne. “Abbia mo votato e fatto la controprova. Nessun voto contrario, nessun astenuto. Tutto il partito è con te”. Invece il segretario è scomparso insieme al partito, quel giuramento è risultato fasullo. “Temo per Pier Luigi – ha detto suo fratello Mauro – temo per la sua salute, per lo stress di questi giorni”. Il potere non ha riguardi per il corpo e la fatica, è vero. Il potere macina falsi sorrisi e spesso produce solo diabete. “Sono disperata, non meritiamo questa considerazione. Non siamo noi giovani deputati i colpevoli da mandare alla sbarra”, dice nella confusione dell’ennesima sconfitta, e nella calca seguita, l’eletta ventiseienne di Città di Castello. In effetti non sembrava possibile questo scenario così disastroso. Ieri alla Camera ha stazionato Ricky Levi, portavoce storico di Prodi. Con ognuno ha parlato, un confessionale a cui sono stati chiamati i grandi elettori., E da Bologna la cerchia stretta del Professore ha telefonato e verificato le notizie. Il duo Parisi-Santagata, di mestiere amici dell’ex premier e fondatore dell’Ulivo, avevano potuto fare un assaggio della situazione. Tutto a posto. “C’è una convinzione assoluta e un impegno solenne. Almeno 475 voti andranno al Professore”, diceva Roberto Giachetti lui sì, tra i renziani, innocente e disciplinato. Ma quanti dei suoi colleghi? A guardare poi la sfinge Fioroni (in Parlamento esiste persino una sottocorrente detta dei fioroniani) la promessa era un atto falsissimo. “Visti quanti voti ha ottenuto Rodotà?”, ha detto lui allargando il petto con orgoglio e col solito sorriso della sfida. Qualcuno di quei voti sarà stato incartato anche dalla sua corrente, un depistaggio bambinesco, come quegli omicidi che dimenticano sul luogo del delitto la patente e il cellulare. Gli amici di Marini hanno voluto vendicarsi, ecco. E quegli altri di D’Alema? Anche i dalemiani sono sulla brace, densi i sospetti e non serve ricordare che il lider maximo ha vergato una missiva a sostegno della candidatura di Prodi. Oggi è il giorno più brutto per Romano, ma è proprio il giorno in cui Massimo D’Alema spegne le candeline. Sono 64 gli anni. Chi piange e chi (forse) ride. Doveva essere il momento clou, il gran salto verso l’elezione. “Alla quinta votazione sarà fatta”, garantivano tutti. Anche Zanda, capogruppo dei senatori, naturalmente garantiva e pure Speranza, capogruppo alla Camera.

ANDREA ORLANDO, della tribù dei giovani turchi: “È assolutamente certo, abbiamo fatto le cose per bene e chiesto a ciascuno, guardandolo negli occhi”. Un refolo di vento amico e oggi si sarebbe giunti alla fatidica soglia della metà più uno. Tutto lasciava presagire il contrario, persino l’orribile esposizione di mortadella in piazza Montecitorio, con gli stessi protagonisti di cinque anni fa, e la cornice, tecnicamente fascista, che dà a Gramazio, storico esponente dell’Msi romano, la possibilità di un replay di quell’inguardabile giornata del 2008, quando l’aula di palazzo Madama divenne bivacco, fu oltraggiata e deriso il suo presidente (Franco Marini) pur di festeggiare la caduta del governo Prodi. “Lascio il Parlamento e forse la politica”, disse il Professore. Da ieri quel forse non c’è più.

da: Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2013

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