IL FILOSOFO CON SGUARDO AMERICANO PROPONE UNA FORMULA MAGICA E MAI VISTA PRIMA: “SIAMO INCHIODATI ALL ’ISTANTE PER VEDERE I PROCESSI A LUNGO TERMINE E NON ACCAPIGLIARSI”
In una società senza più passioni tocca bussare alla porta del filosofo Remo Bodei, cultore dell’idealismo. Guarda l’Italia con occhi quasi americani (insegna alla Ucla in California). Sorvola spesso l’oceano che lo riporta a Pisa dove ha studiato, prima allievo poi docente alla Normale. Siamo naufraghi in questo mare agitato, professore. “Lottare con le onde alte è la condizione del disperato, infatti affogano i migranti, chi è debole e la sua vita è precaria. Questo tempo ci consegna anzitutto questa parola: precarietà. E non solo o non tanto nel senso dell’etimo. Deriva da prex , precis, dunque preghiera, supplica. Ma la precatio vitae è certo e soprattutto il tragitto umano verso l’ignoto: il bimbo che nasce e avanza verso tappe sconosciute offre l’immagine della nostra esistenza”.
É TUTTO DIVENTATO precario: il lavoro fugge via, e con lui la vita nostra. “É frustante una condizione che ci permette di osservare il potere senza la capicità di controllarlo, di emendarlo, di condizionarlo. Bauman parla di democrazia liquida infatti. Certo che c’è un processo di infantilizzazione del pubblico e il solo apparire è divenuta una condizione essenziale della vita politica”. Solo ciò che appare esiste. “Anche se c’è chi, come Grillo, ha fatto della invisibilità, dell’assenza un fattore decisivo, un punto di forza. Ma tutto questo va a scapito della serietà. Un tempo i partiti erano emissari di valori etici, adesso non esistono. É una perdita di autorevolezza che stiamo pagando cara e la conseguenza è questa invocazione perpetua alla società civile che non si sa cosa sia. Eppure rifletta con me: si dice apatia dei giovani, si parla della loro demotivazione. Appare così ai nostri occhi, vero? Dimentichiamo che c’è una cifra di italiani (questa cifra varia tra i quattro e i sette milioni), che devolvono ore della loro giornate, e alcuni ogni tempo della propria vita, a pratiche di volontariato. Pensiamo a medici senza frontiere, per dire di una associazione benemerita. Ecco, queste capacità, queste competenze, queste passioni si sottraggono alla politica, si dirigono altrove. La politica ha subito una diserzione di massa”. Ci sarà un motivo. “Forse perchè la democrazia non ha curato l’educazione sociale? La scuola è stata smantellata, frantumata, ridotta a un luogo improduttivo e inutile. E il risultato è che i cittadini considerino l’élite semplicemente una casta”. Una società così labile, con aspetti di una crescente anarchizzazione. L’ultima incredibile vicenda di Ferrara dove poliziotti hanno scelto di solidarizzare con colleghi colpevoli di un omicidio, giudicati per un omicidio, sotto le finestre dove lavora la madre del ragazzo ucciso. E al ministro dell’Interno che ha chiesto loro più misura e più contegno civile hanno risposto con uno sberleffo. Sembra che con la crisi economica anche la speranza di far vincere la ragione sia fuggita via. “Caro amico, la speranza perde punti perché la democrazia ha smarrito la sua prospettiva di fondo che è la qualità dell’esistenza delle persone. Non guardiamo più al domani, le cose si fermano all’impressione, le notizie si agganciano al piolo dell’istante. I numerosi incontri anche televisivi, i cosiddetti talk show, sono commenti sulla parola”. A volte sono le stesse parole e i medesimi attori, un circo senza fine nel quale siamo comprimari anche noi giornalisti. “Vero. É quasi scomparso il giornalismo d’inchiesta, la voglia di approfondire, seguire, descrivere, indagare la singola questione e trovare il fondo, la ragione, un movente. L’apparenza sazia, l’impressione si fa verità. Ero alla Columbia University per un ciclo di lezioni quando ho conosciuto per esempio questa decisione presa dal governo Usa: avviare una grande indagine sul cervello umano, concentrare ogni risorsa pubblica per mappare e capire nel più breve tempo possibile. Ecco: questa decisione guarda al futuro della nostra esistenza, è una prova che la politica investe nella ricerca scientifica per agevolare il nostro domani, risponde a un bisogno di crescita.
LA POLITICA ha dunque un futuro se guarda al futuro. Se investe sul futuro, se produce futuro. Se cioè ci fa avanzare dando prospettiva e speranza alla nostra vita, uno sbocco al nostro dolore, una possibilità di superare la nostra precarietà, le nostre paure. Sa cosa ci vorrebbe nella compagine di governo? Un bel ministero del Futuro”. Un ministro del Futuro, professore? “Sono un portatore sano del valore dell’inattualità. Vedere i processi a lungo termine non accapigliarsi sul significato sintomatico di una singola cosa. Siamo così legati all’oggi, all’ora, a questo preciso istante, che perdiamo di vista il quadro di riferimento. E diveniamo immediatamente disperati, per dire”. Siamo nel mondo del clic, del tweet. “Richard Sennet parlava della corrosione del carattere. Il nostro tempo è terribilmente spezzettato, volgiamo di qua e di là. Sono rantoli di pensiero”. Curiamo l’istante: “Ecco, questo ci frega. L’istante. Pensiamo al domani, però cerchiamo di capirlo questo domani”.
da: Il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2013
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