Tra golpe, voto, colle e rughe

BERLUSCONI FA CAMPAGNA ELETTORALE CON L’IMU E VUOLE UNO DEI SUOI AL QUIRINALE
Il budello della metropolitana mi conduce dentro il popolo di Silvio, stretto tra Terenzio, commerciante di Lucca, sua moglie Linda, in festoso girovita tricolore e Paolo, avvocato romano molto arrabbiato. Sessantenni, nonni preoccupati e se non ci fosse Lui addirittura disperati. “Dobbiamo tutto a Lui, scrivi maiuscola, e siamo tutti con Lui e si vede e non ci potete fermare perché siamo tantissimi”. Tantissimi, è vero. Popolo attempato, del resto una ventina d’anni è passata dalle prime prove di piazza. Anche la deputazione parlamentare mostra un filo di rughe d’esperienza.
STEFANIA PRESTIGIACOMO, ricondotta nell’alveo magico della claque da parterre, ha i segni visivi della maturità. Il programma musicale prevede comunque un pezzo – Just a gigolo – di contemporanea riflessione sulle prodezze notturne, e questa piazza del Popolo (oggi anche “delle Libertà”) lo attende con commozione e quel senso di gratitudine che si pensava appassito dopo così tante prove d’amore. Lo zoom della telecamera filma l’avanzamento del lungo corteo presidenziale con la discesa dal Pincio ed è tutto un Ohhh, una di quelle meraviglie da riferire a casa stasera. Il palco è sterminato, libero, piano, senza presenze disturbatrici. Non ci sono relatori, commilitoni, segretari. Donne nella giusta dimensione ma tenute ai margini, azzardando un po’ in una misurata linea d’ombra. È la piazza di Silvio e basta. Che presenta il conto: “Vogliamo un uomo di centrodestra alla presidenza della Repubblica, altrimenti sarà un golpe contro la democrazia”. Il Quirinale oppure è golpe. Il governo oppure il voto: “Senza di noi è impossibile pensare a un governo che possa aiutare l’Italia a risolvere i suoi problemi. Allora è meglio votare. Io sono pronto!”. Boato ultrasonico: “Andiamo a votare e vinceremo!”. Bersani che cincischia sappia cosa deve fare e come per avere la pelle salva, “il suo incarico precario non gli dà chances”. E per l’appunto: o con noi, e quindi al Quirinale uno di noi, oppure voto subito “perchè faremmo un’opposizione feroce”. Orgoglio e forza ritrovata. Non si pensa al domani. È il presente che conta, è al prossimo mese che il leader punta, e le carte sono sul tavolo e la prova di forza possibile. Leader anzi leaderissimo, padrone assoluto e divinità. Angelino Alfano è tornato a fare l’assistente, intrattiene i giornalisti nel retropalco che brulica di varie altre comparse. Gli altri in fila ad applaudire. Il piano terra delle virtù è una corona di battimani. Il solito Scilipoti in tenuta felicità; da una siepe spunta la sagoma n e ro c h i ca g o di Angelucci, capostipite della generazione affaristica romana. Anche Franco Carraro, e restiamo nella terza età dei potenti, intramontabili e veri impresentabili. Ma nessuno se ne accorge e a nessuno interessa. Porti chi vuole, elegga chi vuole, a noi serve solo Lui. E il Cavaliere, davvero senza macchia e senza paura, si presenta al cospetto del suo popolo in una forma smagliante. È l’ idolo. “Adesso, cari amici, facciamo un saluto a Gianfranco Fini”. Sembra Crozza nel rimbombo della risata che scivola come lingua di serpente e lo addenta: “A Montecarlo non se la passa poi così male”. Risate, urla, e un improvviso “duce duce”. Sì, c’è anche una infiltrazione di destra ritmica al centro della piazza con le mani tese: la storia non si dimentica.
“DITE A BERSANI che non ha vinto le elezioni!”, urla. E vogliamo parlare di Monti? “Supino alla Germania e adesso pure all’India”. Duetto scandalizzato tra due signore: “Pure con gli indiani mo’, ma che si doveva vedere…”. È certo l’Imu a tenere banco, “e le tasse a cui con le nostre forze ci vogliamo opporre. Meno tasse sul lavoro, meno tasse sulla casa, meno tasse ovunque”. E’ un popolo di benpensanti (Lui: “di benestanti”) che s’aggira inorridito alla vista di questa Italia in mano “ai comunisti di sempre” e ai magistrati. Sui magistrati una parentesi e un approfondimento. Ho contato dieci aggettivi su cartelli bianchi adattati alla protesta: merda, boia, criminali, sovversivi, inciucisti, incapaci, ingiusti, ladri, scansafatiche, politicizzati. Sulla Boccassini tre (conto parziale): vergogna, persecutrice, farisea. Su Ingroia porte aperte alla fantasia. Berlusconi: “Sapete dove l’hanno mandato? In Valle d’Aosta. È già pronta un’inchiesta sugli stambecchi del Gran Paradiso. Ha pure trovato uno stambecco pentito e lo interrogherà presto”. Vivissimi complimenti, “daje è forte”, alcune parole d’odio semplice, “merda di comunista, vaffanculo!”, molti urrà. Dicci di Di Pietro. “Bracce rubate all’agricoltura”. Ma è magnifico, bellissimo, “scusate chiamate un medico una signora si sente male, forse ho parlato troppo dei comunisti”. Gli è venuta la congiuntivite per questo, a furia di parlarne “i miei occhi si sono arrossati”. Piazza piena d’amore e di pena: “Che vergogna trattare così un uomo, trascinarlo nei tribunali”, “che vergogna questo Grillo”, “che vergogna questa Italia”. Infatti, alla fine, tutti in coro: “Meno male che Silvio c’èèèèèè”. da: Il Fatto Quotidiano, 24 marzo 2013

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