Siamo una società di coriandoli. Linguette di carta che volano ciascuna per suo conto e si disperdono senza mai ritrovarsi. Una società di pesi piuma, senza grandi talenti, senza molti pensieri”.
Addormentati.
“Manca il conflitto sociale”.
Purtroppo o per fortuna?
“Il conflitto esibisce un pensiero, garantisce una riflessione, muove intelligenze, cambia la società. Il conflitto è benefico”.
Non c’è conflitto, ma c’è violenza.
“No, neanche questo è vero. La suggestione è frutto di una rifrazione mediatica, quasi un effetto ottico. Episodi singoli, onde emotive, sprazzi violenti in una società piuttosto vecchia e stanca, che ha corso troppo ed è ancora relativamente agiata”. Le squadracce naziskin che puntano il coltello alla gola dei tifosi inglesi, la crudeltà delle parole che conducono al suicidio un ragazzino, la guerriglia per strada e i manganelli che la polizia esibisce nelle piazze, la criminalità organizzata che domina fette intere di territorio. Tutto insieme e tutto oggi. Troppo, e tanto da far paura. Giuseppe De Rita, che studia l’Italia con la cura e la precisione di un entomologo, invita a non esagerare. Conosce ogni sbuffo del Paese, i mal di pancia, gli sguardi rabbiosi e quelli indolenti. A volte lo vezzeggia come fosse un fanciullino, altre, ed è questo caso, lo stordisce con un ceffone sonoro. “La violenza può essere un effetto collaterale di un conflitto sociale, di una crepa che si manifesta nella società, e di un pensiero organizzato che si contrappone a un altro. Col Sessantotto è nata l’Italia nuova, le piccole aziende, i grandi numeri del sommerso. Quello era un conflitto autentico. La storia patria dell’ultimo cinquantennio è figlia di quel conflitto. Oggi purtroppo non è così. Ignava quando non pigra, non conosce che la solitudine. Questi sono picchi di rabbia, piccole onde isolate”.
Ci sarebbe da rallegrarsene.
“Niente affatto. Marcuse illustrava questa nostra età, del cosiddetto tardo capitalismo: moltiplica l’offerta e distrugge il desiderio. Ecco, questa è una società senza desiderio, senza rabbia organizzata né un’idea condivisa di futuro. Siamo soli ma senza solitudini; soli e senza desideri”. Disperazioni singole.
“Ci sono migliaia di precari, ma ciascuno vive la sua difficoltà nel silenzio della sua stanza, della sua casa. Nessuno riconosce come propria la precarietà dell’altro, non la identifica, non avverte relazione né connessione, e la sua difficoltà resta una questione domestica, un dilemma personale, una disgrazia singola. E la rete non collega i sentimenti e per di più azzera le relazioni fisiche. Siamo più vicini eppure molto più lontani l’uno dall’altro”.
Viva il conflitto!
“Il conflitto per essere vero ha bisogno di un pensiero, di una riflessione profonda. E il conflitto è benefico, serve alla società perchè la ristruttura, fa emergere idee e gambe. Uomini nuovi”.
E tutti questi coltelli in giro? E le botte da orbi per strada? Questi che fenomeni sono?
“Magari mi iscriverete fra i beoti ottimisti, ma questi non sono sintomi di un conflitto, piuttosto enzimi di un disagio che la crisi tende a espandere. Non da sottovalutare ma non in grado di farmi dire: l’Italia è divenuta un Paese violento”.
La paura come effetto ottico?
Tipica rifrazione mediatica. Le cosiddette bolle. Si estremizzano e si rendono di massa particolari picchi emotivi”.
I continui disordini di piazza li rubrichiamo come picchi emotivi?
“Ricordo quando partecipai alle proteste per Trieste italiana. Botte da orbi per strada, eppure quella fu una ragazzata, non una cosa seria”.
Ah, ecco.
“Pensi se l’opposizione al berlusconismo si fosse tradotta in atti violenti. Immagini se i girotondi avessero deciso una battaglia anche fisica. Ecco, in quel caso”.
Meno male che non è stato così.
“Anch’io dico meno male. Non fraintenda. Non è che non veda il disagio o questi episodi. Ma la violenza è un’altra cosa. Mi pare più grave che non esista il conflitto, perchè significa che i gruppi sociali non hanno capacità di analisi, né profondità. Amico mio, siamo ancora parecchio immersi nell’agio”.
Italia in poltrona.
“Ecco, mediamente in poltrona, asfittica, senza slancio e senza idee. Siamo una società a coriandoli: l’uno disperso per aria segue una sua propria traiettoria. Mille e mille coriandoli in cielo, ognuno per la sua via aerea”.
Ci vuole talento anche per essere dei criminali.
“Anzitutto ci vuole organizzazione. Infatti si dice criminalità organizzata. Ed ha un senso definirla così”.
Non c’è consolazione.
“Mi pare proprio di no”.
da: Il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2012