È L’UNO E IL SUO OPPOSTO, PROF ECCELLENTE E CAMPIONE DELL’ANTIPOLITICA
TEORICO DEL VOTO INUTILE CHE EVOCA PATRIMONIALI: DOPO DI LUI C’È SOLO LUI
In gioco non è la democrazia ma l’oligarchia. Servono davvero le elezioni? Tra qualche settimana la domanda acquisterà un senso finalmente compiuto. E la televisione ne parlerà, sicuro che ne parlerà, i talk-show saranno zeppi di inchieste tra la gente (la ggente!), e quindi anche i giornali seguiranno. Opinioni, commenti, contributi. Lui è lì, né a destra né a sinistra, ma in alto. Sa che non c’è scelta: o lui o lui. Non è il destino di un uomo in gioco, e le sue aspirazioni legittime, ma quello dell’Italia. O lasciamo lui al potere oppure siamo fritti. O Mario Monti o lo sfacelo. Per la prima volta la democrazia si autocensura, il pensiero si autolimita, non espande né innova. Non cerca dubbi ma rassicurazioni. Resta davvero?
IL PROFESSOR Monti ci ha rassicurati: “Sono più popolare dei partiti”. Affermazione che equivale a una discesa in campo e insieme è garanzia assoluta che il principio, governa chi ha più voti, in questo caso sarebbe sostanzialmente soddisfatto anche senza la complicazione delle urne. Cosa c’è di più rivoluzionario e democratico? Il montismo cura i pensieri prima che le parole, e ne costruisce un flusso protetto dalle obiezioni. Egli è insieme l’uno e il suo opposto. Da eccellente tecnico la persona più lontana dalla politica, quindi il campione dell’antipolitica, “mia mamma mi diceva: stai alla larga dalla politica!”, ha ricordato recentemente. Da sperimentato premier padrone assoluto delle coscienze del circolo Montecitorio, acquario che si è fatto rivolo dove i partiti non nuotano ma oramai boccheggiano. Il montismo, come giustamente lo definisce Ilvo Diamanti su Repubblica, è alternativo al berlusconismo nella proiezione popolare dell’immagine. Eppure ne riassume, sovrapponendosi, i crismi dell’intangibilità. Silvio era l’unto del Signore, e anche il professore, diciamo la verità, un poco unto lo è. E’ quasi una teca che non si può spostare, né toccare. L’anno di praticantato al potere ha fatto di lui il guru del centro affluente e benpensante. Un modello altamente bipolare: progressista e conservatore. Vicino ai lavoratori con una piccola patrimoniale “allo studio”, vicino alla Chiesa con l’Imu più leggera, vicino alle banche (l’ultimo applauso, in ordine di tempo, è di Federico Ghizzoni, l’amministratore delegato di Unicredit), vicino al mondo pop se anche Eros Ramazzotti vede in lui un salvatore della Patria. Cordiale ma riservato, prudente ma coraggioso, lontano dalla politica ma dentro la politica al punto che Pierferdinando Casini sta perdendo il sonno per concepire una legge elettorale cucita su misura per lui. Un fac simile di voto, un’urna apparente: nessuno dovrà vincere, nessuno potrà vincere tranne lui. E’ questa una soluzione insieme eroica e originale del negazionismo democratico: fare di tutto perchè nulla accada. E’ quel nulla a fare la differenza. Perchè ogni giorno il Quirinale ingiunge di togliere di mezzo il Porcellum, il sistema di voto che toglie ai cittadini la potestà di scegliere. Umorismo nero, si direbbe. Invece è tutto un commentare se sia possibile giungere fino alla resa preventiva di un voto che non sceglie, una democrazia che delega preventivamente e smette di funzionare. Meglio Monti, e a prescindere.
“NON MI piacerebbe rimanere premier” ha anche dichiarato. E tutti gli credono. Perchè la verità è che si impegnerebbe a proseguire per “spirito di servizio”, per dare una speranza all’Italia, un futuro ai giovani, una pensione agli anziani. L’aspirazione si fa dunque sacrificio, l’ambizione diviene necessità, il piccolo vizio una grande virtù. Aveva iniziato nelle catacambe. Incontrava infatti Alfano, Bersani e Casini, l’Abc politicante e inconcludente (secondo i parametri popolari) nel tunnel che da Montecitorio porta a Palazzo Chigi. Si vergognavano i tre a farsi vedere insieme, e lui a farsi ritrarre con quegli altri. All’inizio era così. Finché Casini si autoimmortalò e condusse in una foto postata su twitter gli altri colleghi a convegno, seduti finalmente nella sala del presidente del Consiglio, e felici di stare lassù, a tu per tu col Premier. Cioè Dio. Il professore era il più timido tra i quattro ma si era all’inizio e non sapeva bene come fare, cosa fare, cosa dire e come dirlo. Mica poteva piangere come Fornero? E neanche sorridere troppo perchè fuori contesto. Quindi è rimasto distante, la distanza è necessaria al carisma, ma cordiale, perchè il tono simpatico favorisce la connessione col popolo. Tutto perfetto, e per le elezioni c’è sempre tempo.
da: Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2012