Mettiamo da parte le case, i terreni, i fienili e il grano in senso proprio e figurato di Antonio Di Pietro. Ha titoli per difendere la legittimità dei suoi acquisti e documenti per attestarne la liceità. Fa bene ad esibirli fin nelle più intestine descrizioni e siamo dunque d’accordo con lui: il partito non è una privata abitazione. Forse non se n’è accorto, ma in quest’ultima settimana Di Pietro ha chiuso il partito, somministrandogli l’estrema unzione, e poi l’ha riaperto, decretandone la resurrezione, proprio come fosse la sua porticina di casa. Lunedì Italia dei Valori era morta, mercoledì il leader viaggiava, su proposta di Grillo, verso il Quirinale, giovedì era pronto un altro logo e forse un altro movimento dal nome impressionista (“Basta!”), ieri è invece ritornato sia il gabbiano che la sigla Idv, il partito è risorto e già gode di ritrovata ottima salute. Quel che Di Pietro non ha percepito è la deflagrazione della sua leadership per come si è espressa in questi anni. Il potere assoluto sul movimento e l’insindacabilità delle scelte, anche quelle più misteriose e confuse, degli uomini ai quali era chiesto di issare il vessillo della legalità, fondava sul presupposto dell’emergenza democratica, nella ribellione alla tirannide berlusconiana, nel contrasto alla quotidiana devianza dalle regole, dai doveri e dal diritto. È stata una battaglia campale nella quale il dipietrismo si è fatto carne e spirito, è divenuto linguaggio sempre più comune, intendimento che ha raccolto consensi via via più vasti, dispiegando una non trascurabile forza attrattiva.Continue reading