Walter Veltroni ha la capacità di rendere perfida anche la più innocente, la più giusta e la più sincera delle scelte che compie. È una condizione che lo accompagna in ogni passo della sua lunga e vitale carriera politica. Resiste nei suoi confronti un pregiudizio, l’ombra di una premeditazione perenne e anche questa volta, pure di fronte alla rispettabile decisione di rinunciare al trono da deputato che il suo status gli assegnerebbe a vita, la domanda resiste alla realtà, l’opinione supera l’evento. L’ha fatto per salvare sé stesso dalla piena che sale nel Paese contro la nomenklatura? Oppure per mettere nei guai il suo dirimpettaio D’Alema, l’antico e ineguagliabile nemico? E ha scelto la giornata di domenica, proprio mentre Bersani lanciava la sua candidatura a premier per coprire quel gesto, riducendo a comprimario il leader del partito che egli ha fon- dato? Veltroni trascina in chi deve commentare le sue scelte, la sua vita e anche le sue opere nell’idea che per comprenderle fino in fondo serva scorticarle, inchiodarle all’istinto peggiore, all’ipotesi subordinata, al rovescio della parola.
ECCO, se Veltroni ha una colpa è di aver autorizzato la lettura doppia di ogni suo atto formalizzando nella sua narrazione l’ipotesi che non esista mai una sola realtà, ma anche un’altra. E dunque non una verità, ma almeno due, non un giudizio ma anche un pregiudizio. Nel suo linguaggio, come nelle sue opere, sopravvive l’estetica dell’effimero, un tratto di genuina accondiscendenza verso l’apparenza in luogo della realtà. Il cinema – suo grande amore – è malgrado tutto finzione. E dunque la domanda che lo insegue è come se inseguisse tutti noi: Walter finge o fa per davvero? Noi crediamo alla sua parola. E mentre lo scriviamo siamo tentati di resistergli, di pensare all’opposto, di indagare sul tranello, sull’ombra. Guardiamo all’indietro, alle sue decisioni, e pensiamo: è stato coraggioso a dimettersi da segretario del Pd oppure un po’ è scivolato via dalle sue responsabilità? E ha mai pensato che lo scambio oligarchico di ruolo con Rutelli avrebbe lasciato Roma nelle mani di Alemanno? E quando ha guidato “l’Unità”ha fatto il bene del giornale allegando i film alle notizie o ha dopato le vendite e l’ha trascinato in un gorgo di debiti? Ogni leader che si rispetti è permaloso. E Veltroni lo è un poco. Però lo nasconde dietro la benevolenza del sorriso, non lo espande, come D’Alema, ma lo mimetizza. Dosi magari minime ma indispensabili servono al potere per autoconservarsi ma anche rigenerarsi. Oggi si eclissa ma anche no.
da: Il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2012