Non solo camorra
di Valerio Calabrese
Non bastavano le denunce di giornalisti e magistrati. E poi gli arresti: giusto un anno fa la Dia del Tribunale di S. Maria Capua Vetere sequestrava beni e società per oltre 20 milioni di euro del clan dei Casalesi nel territorio parmense. Parma, la nuova filiale dei Casalesi, lontana dai riflettori, florida e tranquilla per ripulire i capitali sporchi.
Ma l’analogia tra la terra del parmigiano e quella della mozzarella sfonda oggi nella questione rifiuti. Così come i rifiuti campani, infatti, anche quelli di Parma fanno un bel giro prima di finire in discarica o all’incenerimento. E sì, perché Parma non può fare né l’uno né l’atro, perché lì non esistono né impianti di interramento né di combustione. 88mila tonnellate di immondizia che ogni anno i parmensi spediscono altrove, proprio come i napoletani. Operazione costosa però, e troppo. E nella città ducale scoppia allora la questione termovalorizzatore. L’inceneritore che, secondo una delibera della Provincia di Parma del 2005, doveva nascere a due chilometri dallo stabilimento della Barilla, non si capisce oggi se si farà mai. Costo previsto dell’impianto, 193milioni e 589mila euro. Capacità, 130mila tonnellate di spazzatura. Data di accensione, il 2012. Secondo i comitati no-term i costi sarebbero ben diversi: 315 milioni di euro. E poi i rifiuti: se Parma produce 88mila tonnellate di frazione residua (quella non riciclabile) perché progettare un inceneritore da 130mila tonnellate? Bruciare i rifiuti di altri, dunque, perché nel mondo della monnezza (e solo lì) l’import vale più dell’export. Dopo cinque anni dalla delibera gli assetti politici della “fu rossa” Emilia sono cambiati, con la conseguenza (anche qui come in Campania) che quanto fatto prima va buttato tout-court nel secchio, quello nero però. Rimpalli, ricorsi, scaricabarili, e il progetto è fermo, i rifiuti continuano a girare e i cittadini a pagare: «Se si blocca il progetto – fanno sapere dall’Iren Ambiente, la società che gestisce il ciclo dei rifiuti parmense – il Comune ci rimborserà 80 milioni di penali». Il Comune, cioè i cittadini.
Caso di specie simile a quello di Salerno, sempre in Campania. Qui addirittura è andato in crisi il Governo nazionale. La Carfagna spingeva per il passaggio dei poteri ai Sindaci di Napoli e Salerno, Cosentino per l’affidamento della gestione alle Province, guidate dai sodali Luigi Cesaro, detto “’a purpetta”, (Napoli) ed Edmondo Cirielli, già noto per la famosa legge (Salerno). Qui, nell’incertezza, De Luca – sindaco/sceriffo di Salerno – dopo aver premuto e arringato l’opinione pubblica sulla necessità di fare l’impianto, appena passata la “provincializzazione” dei rifiuti, ha restituito la precedente destinazione d’uso ai terreni individuati: suolo agricolo. Vale a dire: o comando io, o nessuno.
E intanto a Parma come a Napoli i rifiuti continuano a girare, ma attenzione, solo quando non restano a terra.
Gentile signor Calabrese, ho letto con molto interesse il suo pezzo!
Mi dispiace constatare, tuttavia, che una intenzione di fondo si riveli macroscopicamente, id est quella di perseguire il tentativo di volere, a tutti i costi, trovare esempi che mostrino, alla fine dei conti, che il Nord e il Sud pari sono. Tuttavia, per la mia modestissima esperienza, penso che la distanza da colmare sia ancora sufficientemente grande.
In secondo luogo, non riesco davvero a capire l’utilita’ di specificare la connotazione di sindaco-sceriffo per Vincenzo De Luca, almeno nell’economia del suo articolo; sempre lungo la stessa direzione, non comprendo – mi scusi per la mia ottusa ignoranza – la necessita’ di qualificare il signor Luigi Cesaro con il nomignolo “‘a purpetta”. Secondoo me e’ folklore a titolo gratuito.
Memento audere semper,
Domitilla