di Valerio Calabrese
Il puzzo di sudore, la polvere alzata da un pallone saltellante, le urla sgolate del mister dalla panchina, sono quanto di più coinvolgente possa avvenire in un rettangolo di gioco. Assistervi ad oltre cinquanta metri di distanza, invece, è tutta un’altra storia. Ma può la distanza tra pubblico e calciatori influire sulla rese di una squadra? A Battipaglia, nel salernitano, pare proprio di sì. Dopo anni di deprimenti retrocessioni e mancate promozioni si è capito che il problema della Battipagliese non erano i soldi, né i nomi dei calciatori o degli allenatori, ma il campo di gioco. Nell’Italia dello spreco e dell’ignavia accade anche che dal 1989, sia ancora in fase di completamento uno stadio progettato per ospitare allenamenti e ritiri delle squadre di Italia ’90. Venti anni dopo, lo stadio “L. Pastena” non è ancora completo. Il settore distinti permane allo stato grezzo, la tribuna invece è grosso modo completa, tanto da aver ospitato lungo gli ultimi 15 anni numerosi ed importanti uffici comunali, da oggi anch’essi in via di trasferimento. Un manto erboso, una pista di atletica, 20.000 posti a sedere, 20 miliardi di lire spesi e una squadra che non riesce ad uscire dalle sabbie mobili del campionato di Eccellenza. Lunghi anni di pene per i tifosi bianconeri (i colori sociali del club), che esausti l’anno scorso hanno sfidato squadra ed amministrazione comunale. “Vogliamo che la squadra torni a giocare al vecchio campo comunale” asserirono dinnanzi al sindaco. “Va bene!” gli rispose il primo cittadino, ponendo però una condizione, che i lavori d’ammodernamento e di adeguamento alle regole imposte dalla FIGC fossero realizzati a costo zero per l’Ente (ovviamente deficitario). Spinto dall’amore per la propria squadra del cuore, anche un ultrà può improvvisarsi muratore. I lavori sono costati poche migliaia di euro. Quest’anno la squadra ha vinto il campionato con diverse giornate di anticipo. Il contatto col pubblico, oggi a ridosso del terreno di gioco, l’ha spinta a correre di più, a tirare fuori grinta e coraggio. Lo stadio in erba di Italia ’90 intanto resta vuoto, in disuso colpevole a imperitura memoria, a discapito di un terreno di sabbia e terra battuta, ora glorioso. Lo spreco può assumere forme e strade imprevedibili, e arrecare talvolta danni collaterali. Ma la passione sportiva quella sì, può far tornare il sorriso, anche se amaro, anzi, salato.