ROMA – Conta la fantasia. La torta per i 70 anni di Fausto Bertinotti era bipiano, color cioccolato, con un grande cavalluccio al posto delle candeline. E contano gli spazi. L’ex presidente della Camera ha festeggiato qualche giorno fa nel meraviglioso giardino di casa D’Urso, punto di confluenza del potere capitolino affluente, danaroso, mangione, sempre in ghingheri.
Perorare le cause dei proletari ma santificare le feste con i possidenti. Solo a lei è riuscita questa magia.
«La domanda ha un senso. Ma ha bisogno di una premessa. Quando vivevo a Torino, nei quindici anni di sindacato, mai una volta mi sono trovato a tavola con i padroni. Gli Agnelli erano lì, noi qui. Cambiata città, e cambiato ruolo, ho ceduto alla curiosità, all’intrigo. A capire, conoscere, promuovere un diverso punto di vista».
Ah, ricordo: la voglia di contaminazione.
«Con questa parola nel passato ho sbrigato facilmente la questione, lo ammetto».
Ma tutte quelle foto, quelle dame abbronzate a colpi di lampade, quei gioielli performanti.
«Essere ritratto in quei momenti la considero una violenza, non mi piace affatto».
I militanti hanno sempre retto bene il peso delle cronache di gossip: «Ecco Bertinotti con Valeria Marini! Elegante, fa il baciamano alla contessa…».
«Mai nulla mi hanno rimproverato. Magari pensavano: questo è fatto strano. Tenga presente che nei miei discorsi coniugavo Marx con San Paolo. Consideravo centrali le lettere ai cristiani. Alle stranezze erano abituati».
Adesso è un ex. Tutti gli ex in genere si annoiano.
«Libero di non crederci ma momenti di irrefrenabile inquietudine, quando non di vera e propria noia, mi prendevano prima, in alcune interminabili riunioni di partito, o di recente alla Camera. Mi rifugiavo nella lettura di un libro, sfogliato sottobanco».
Il potere è patimento?
«Quando penso che sono stato obbligato a festeggiare il 2 Giugno con la sfilata delle forze armate, il patimento si fa intenso, sì. Quel giorno misi alla giacca l’arcobaleno della pace: segnalava la mia difficoltà ad essere lì, a presenziare in nome della Repubblica. Non la felicità di esserci».
Sulla densità del patimento bisognerebbe approfondire.
«Intendiamoci, il potere è una brutta bestia che bisogna saper cavalcare. Adesso mica vorrà pensare che insomma quel ruolo pubblico mi angustiasse?».
Ecco, non l’angustiava.
«Ma vedermene privato non mi ha reso affatto disperato. Anzi ha liberato energie, piegato tutto me stesso alle passioni di una vita. Adesso mi dedico alla cura di un bimestrale: “Alternativa per il socialismo”. Curo delle lezioni di diritto costituzionale all’ università di Perugia».
Fa cose e vede sempre gente.
«Faccio le cose che mi piacciono».
Con le idee di sempre.
«Con quelle».
Tanto la sinistra non esiste più. O quasi.
«Il dominio berlusconiano ha provocato quel che si vede. E adesso che si coglie la fine della sua egemonia, che è nei fatti, ecco si scorgono maestose le macerie, i detriti di una lunga stagione in cui la passione è svanita, le parole si sono perse, una comunità disintegrata in tante singole e disperate solitudini».
Ottimista.
«Guardi: è possibile che domani il centrosinistra non arretri, anzi colga persino un qualche successo. Questo fatto non sposta di un millimetro la valutazione. La prospettiva resta buia, chiuso l’orizzonte».
Servono parole nuove. E uomini nuovi.
«Servono idee e nuove parole e un nuovo sentimento. Serve Nichi Vendola».
Magari Vendola diffida dei suoi consigli.
«E fa bene. Io comunque mi auguro che il suo lavoro, la sua fabbrica faccia da calamita, raccolga il consenso attraverso un moto contrario a quello immaginabile: succhiandolo dal centro verso la periferia. Una calamita che destrutturi le oligarchie, e ricomponga attraverso la democrazia integrale, il nuovo altrove».
La democrazia integrale?
«Una testa un voto. Per davvero».
Chissà.
«L’augurio è che ci riesca. Sono un uomo del Novecento e sono vecchio anch’io. Però sento che è urgente».
È urgente che Nichi si muova. Solo lui?
«Penso a lui, perché rappresenta l’area più vicina a me. Altri, o altre, facciano lo stesso dalle loro parti».
Altre. Un’opa congiunta di Vendola e Bonino sulla sinistra?
«L’opa no, è una figura che non rende la mia idea. Ed Emma Bonino è più lontana da me. Però qualcuno ha la calamita in mano. Ed è tempo che la metta alla prova».
da:Repubblica — 28 marzo 2010 pagina 11 sezione: POLITICA INTERNA