Qualunque mestiere ha la sua scienza, i suoi segreti. C’è bisogno di conoscerli, studiarli, approfondirli. Qualunque lavoro ha un codice deontologico, una cornice di regole entro cui svolgerlo. Un elettricista sa bene come realizzare un circuito elettrico e se, per ipotesi, gli fosse chiesto di realizzarlo contro le regole, fuori dalle regole, fuori dalla scienza, dalla sua conoscenza e competenza, egli probabilmente rinuncerebbe. Dichiarebbe impossibile il compito. La lampada mai si accenderà, malgrado la nostra richiesta di vederla viva e accecante, se non sarà connessa a una rete, a un conduttore di energia.
Il giornalismo è l’unico mestiere in cui il codice deontologico, la cornice fondamentale di regole che lo ispira, può essere violato e anche piuttosto vistosamente.
Il giornalista conosce il modo in cui nasce la notizia. Sa cos’è la notizia; è erudito sulle verifiche che sono d’obbligo prima di comunicarla. Eppure il giornalista può, senza subire alcuna censura, realizzare anche le più ardite operazioni di camuffamento della realtà, di occultamento, di travisamento.
Può tacere di una notizia, anche nel caso sia consapevole della sua rilevanza. Può addirittura procedere alla falsificazione del vero o anche promuoverne il cammino opposto: rendere reale un fatto inventato.
Il giornalista sa che non incorrerà in alcuna censura, non subirà alcun patimento professionale. La sua cattiva coscienza testimonia anzi una fede, una relazione quando non una servitù. Il cattivo giornalismo sarà sempre molto ben retribuito e spesso anche onorato col massimo della lode.