(…) La scuola in Italia è rimasta un organismo schiettamente borghese, nel peggior senso della parola. (…) La scuola media e superiore, che è di Stato, e cioè è pagata con le entrate generali, e quindi anche con le tasse dirette pagate dal proletariato, non può essere frequentata che dai giovani figli della borghesia, che godono dell’indipendenza economica necessaria per la tranquillità degli studi. Un proletario, anche se intelligente, anche se in possesso di tutti i numeri necessari per diventare un uomo di cultura, è costretto a sciupare le sue qualità in attività diversa, o a diventare un refrattario, un autodidatta, cioè (fatte le dovute eccezioni) un mezzo uomo, un uomo che non può dare tutto ciò che avrebbe potuto, se si fosse completato ed irrobustito nella disciplina della scuola. La cultura è un privilegio. La scuola è un privilegio. E non vogliamo che tale essa sia. Tutti i giovani dovrebbero essere uguali dinanzi alla cultura. Lo Stato non deve pagare coi denari di tutti la scuola anche per i mediocri e deficienti, figli dei benestanti, mentre ne esclude gli intelligenti e capaci, figlioli dei proletari. (…) Al proletariato è necessaria una scuola disinteressata. Una scuola in cui sia data al fanciullo la possibilità di formarsi, di diventare uomo, di acquistare quei criteri generali che servono allo svolgimento del carattere. Una scuola umanistica, insomma, come la intendevano gli antichi e i piú recenti uomini del Rinascimento. Una scuola che non ipotechi l’avvenire del fanciullo e costringa la sua volontà, la sua intelligenza, la sua coscienza in formazione a muoversi entro un binario a stazione prefissata. Una scuola di libertà e di libera iniziativa e non una scuola di schiavitù e di meccanicità. Anche i figli dei proletari devono avere dinanzi a sé tutte le possibilità, tutti i campi liberi per poter realizzare la propria individualità nel modo migliore, e perciò nel modo piú produttivo per loro e per la collettività. (…) .
Scritti Politici
“Uomini o macchine?”, Avanti!, ediz. piemontese, 24 dicembre 1916, rubrica «La scuola e i socialisti».
Che Gramsci scriva ovvietà, scusami il commento, mi sembra una considerazione poco sagace. Per quanto riguarda le argomentazioni su cultura di massa e assenza di selezione l’analisi è un pò rudimentale. penso sia ancora attuale difendere il diritto allo studio soprattutto nelle cosidette zone di frontiera. Una cosa è depotenziare i livelli obbligatori di istruzione nelle aree del paese meno sviluppate, un’altra è introdurre una seria selezione nel percorso di formazione, che tra l’altro le parole di gramsci sostengono, arricchendole di una considerazione circa l’aspetto pedagocico dell’insegnamento. Il tuo ragionamento, ‘le famiglie privilegiate possono fare a meno della scuola di stato’, va a sostegno del fatto che la scuola pubblica vada potenziata là dove i soldi non ci sono, cosa che purtroppo in italia non è di fatto vera. Quindi l’ovvietà di gramsci non è presente nella nostra realtà, rimane un messaggio attuale e di grande forza politica.
Gramsci scrive un’ovvieta’ per chi odia l’ingiustizia. Purtroppo, la sua interpretazione non sembra cosi’ ovvia, perche’ molti comunisti, soprattutto occidentali e sessantottini, pensano che questo non significhi escludere da certi studi i deficienti ricchi ed includere gli intelligenti poveri, ma piuttosto includervi anche i deficienti poveri eliminando ogni selezione. Ricreando cosi ingiustizia, perche’ le famiglie privilegiate (in soldi o cultura) possono fare a meno della scuola di stato. Per cui un cinico, non io, visto il risultato, avrebbe qualche argomento nel sostenere che, forse, se gli esclusi non fossero stati deficienti non sarebbero stati proletari e comunisti. E quindi……
sei tu manuela, scusa ma prima non compariva…ciao
Mi appare strano parlare con un anonimo, ma penso questa sia la reltà della rete. Comunque grazie per avermi rimandato a nuovi riferimenti culturali, che purtroppo si perdono o ‘beata ignoranza’ (la mia) non si raggiungono. se c’è una cosa che penso è che ora
più che mai è importante studiare perché l’agire abbia un senso, e quindi ancora grazie
Cara Aldina,
spesso leggendo Gramsci anch’io ho l’impressione che le sue parole suonino
terribilmente attuali. E’ la stessa sensazione, sconcertante a dire il vero,
che ho provato scorrendo questo articolo dell’Avanti scritto novantatré anni
fa.
Certo, sono queste le dimensioni della classicità. Lo studioso Valentino
Gerratana diceva che il pensatore sardo può essere considerato un “classico”
in quanto “interprete del proprio tempo, che rimane attuale in ogni tempo,
per le nuove generazioni che vivono altre esperienze diverse da quelle da
lui affrontate”.
Convengo, dunque, con te: cambiano i linguaggi, resta immutata la sostanza.
Drammaticamente!
Non avevo mai posto dovuta attenzione al riquadro dedicato a Gramsci a cura di Manuela Cavalieri. Sarà un caso ma proprio stasera mi è caduto uno sguardo pesante sulla parola scuola, là in alto, all’inizio del capoverso. Una coincidenza, proprio stasera mi ero data alla dilettevole e dilettantesca lettura del disegno di legge proposto dall’On. Aprea, ora in discussione alla commissione cultura della Camera, con il quale l’attuale governo vuole cambiare l’istituzione scolastica e lo stato giuridico dei docenti.
Vi dirò nella parte introduttiva sono stata colta da simpatia, per il senso di libertà, intesa come autonomia pedagogica, autonomia gestionale, valore dato all’iniziativa individuale e collegiale di organi apparentemente fluidi, meno sclerotizzati dall’impianto burocratico. Poi mi sono svegliata dall’ebbrezza, che deve essere quella che prende l’utente televisivo, mentre viaggia in mondi virtuali di nette contrapposizioni e semplici idiomi. E’ emersa nella mia mente un‘immagine: i quartieri napoletani costruiti da quel, volete che lo chiami imprenditore?, no, non posso, insomma da quel figuro che fa abitare con i soldi del nostro lavoro quotidiano, persone vere in mura marce, in abitazioni infestate dalle muffe….Mi sono chiesta in quale scuola andranno i bambini, i ragazzi di quei quartieri? quale potrà essere l’autonomia intellettuale e finanziaria di una scuola edificata dove lo stato non esiste? Lo stato come lo intendo io naturalmente, ovvero noi con l’impegno civile della nostra costituzione. Sono retorica lo so, ma in questa sera, uguale ad altre vissute nella mia mediocrità, le parole di Gramsci hanno lo stesso suono che qualcuno sentì nel 1916. Cosa è cambiato? Forse non esiste più il proletariato? No, al contrario è solo una questione di linguaggio, e di dimensione. Gallino ha descritto bene cosa è cambiato, oggi il lavoro è merce, si acquista e si consuma come gli articoli da supermercato, e il fenomeno riguarda un numero estremamente grande di persone, in Italia circa otto milioni. Forse è tornato di moda il Darwinismo sociale, deve emergere il forte, il forte di nascita naturalmente, ai fragili, a chi è toccato lo svantaggio, lasciamo l’asfalto delle strade come scuola, sennò tutti vorranno fare i medici e gli ingegneri, vi ricordate c’era una canzone …….