FLAVIA PICCINNI
Davanti alla febbre del superenalotto l’Italia non è mai stata così unita. Il 14 ottobre sono stati spesi ben 52 milioni di euro in tutta la Penisola per raggiungere un sogno, quello del jack pot di 83,5 milioni di euro. Hanno giocato ovunque, in milioni, ma nessuno ha indovinato la combinazione dei sei numeri fortunati.
Mentre in un bar alla periferia di Roma assisto alla follia superenalotto, mi sembra di essere nella tabacchino/ricevitoria di Bocca di Stella, una zona industriale vicino Prato dal nome romantico e dalla struttura fatiscente. Mi sembra di stare fra i cinesi dei pronto moda che, abbandonate le macchine da cucire e gli orari di sfruttamento, da padroni vanno a tentare una fortuna tutta italiana.
Vedo intorno a me, proprio come vedevo due mesi fa durante i sopralluoghi nella campagna pratese, lo stesso sguardo perso nel vuoto di chi gioca e immagina acquisti milionari (la casa di proprietà, una nuova macchina, le vacanze ai tropici, la possibilità di pavoneggiarsi); il riscatto di una vita.
E l’Italia, allora, mi sembra, per la prima volta, tutta unita. Unitissima. Unitissima per raggiungere un obiettivo: i soldi del jack pot. I soldi accumulati in sei mesi di uscite rimandate (da inizio ottobre gli italiani hanno speso 37,5 milioni di euro per concorso) che uniscono una nazione. Che annullano le differenze sociali, razziali, sessuali. Sembra paradossale, ma il denaro – e il sogno – sono un collante paradossale che forse funziona così bene perché l’Italia è un paese paradossale. Il paese delle contraddizioni.
E così l’ambulante marocchino come la sciura milanese, la badante rumena come l’imprenditore trevigiano fanno la schedina al bar, chiudono gli occhi, incrociano le dita, fanno gli scongiuri, partecipano ai “sistemoni”. In una parola, sognano. E vengono, puntualmente, delusi.
è la povertà, flavia, sponsorizzata dallo stato:
aprire un punto snai è facile come bere un bicchiere d’acqua (www.snai.it) e la scommessa prolifica.
come la fame.