Altero Matteoli è il primo ministro antifascista di Alleanza nazionale.
«Ai ragazzi di Azione Giovani ho spiegato per filo e per segno cosa significhi per me».
Ed è anche il primo ministro che potrebbe giovarsi, come Berlusconi, di una leggina, uno scudo verso i processi.
«Stamane ho aperto i giornali e, oddio, cosa ho fatto? Ho telefonato a Consolo e gli ho chiesto conto».
Lui lo difende in tribunale, lui è l’ autore del mini-lodo.
«Mi ha spiegato anzitutto che questa è una proposta presentata la scorsa legislatura, mai dibattuta e dunque ripresentata adesso. Altro che cucita addosso a me!».
Equa.
«Pare sostenibilissima. Un ministro dev’ essere giudicato dal tribunale dei ministri».
Che è pur sempre un tribunale.
«Ecco, qua volevo arrivare. Mica sono pesciolini impauriti questi giudici? Gattini ciechi è meglio.
«Hanno la toga come tutti. E se le dicessi di quale reato sono stato accusato poi…».
E comunque lei non ha mai spinto l’onorevole Consolo.
«Ma assolutamente. Sono accusato di favoreggiamento per aver detto a un prefetto: mi dicono che c’ è un’ inchiesta su di lei».
Se la caverà.
«Il processo è a Livorno».
Consolo lo trascinerà a Roma.
«I rilievi penali sono risibili e io veramente resisto nella convinzione che sia giusto che un ministro
venga giudicato da un tribunale dedicato a queste cose».
Persona speciale, tribunale speciale.
«Chi mi conosce sa con quale misura e prudenza svolgo l’ attività ministeriale. Sono stato presente a tutte le udienze, mai una richiesta di sospensione».
Nessun impedimento?
«Mai avanzato l’ impegno parlamentare».Continue reading
Catonismo
Catone trionfa. Il segaligno e bilioso romano che perseguitava con la ferula implacabile delle sue leggi il lusso eccessivo delle opulenti matrone, si è trasformato in rond-de-cuir, e armato di matita blu cancella, cancella per la salvezza delle istituzioni e della pace sociale.
Il catonismo si è dilatato, ha invaso tutte le attività sociali e ha trovato nello stato di guerra l’ambiente favorevole per il suo completo sviluppo, come i microbi lo trovano nelle culture dei gabinetti anatomici. Non è l’intolleranza gagliarda di chi non può sopportare lo sproposito, di chi non può sopportare che il blocco granitico delle sue idee sia incrinato dall’equivoco e dal dondolismo; è lo stato d’animo che trova perfetta rispondenza nella massima di La Rochefoucauld: «A che pro convincere quando si può far tacere?», stato d’animo di grettezza e di mancanza di spirito di libertà, che è in alcuni la continuazione di un’abitudine prebellica, ed in altri l’espansione di una velleità per lungo tempo covata nel più profondo dell’animo. A che pro convincere? Per convincere bisogna polemizzare, produrre, bisogna affermare verità che scalzino convinzioni, lavorare insomma. Ma se lo stesso risultato si può ottenere facendo tacere?
Sotto la Mole, 8 marzo 1916
Vero, signò?
MANUELA CAVALIERI
Continuo a pensare a lui, mentre guardo la tazzina con l’ultimo goccio di caffè. È andato via con due pesanti valigie rosse. Col suo abito blu chiaro un po’ sdrucito. Le spalle basse e l’espressione da cane bastonato. Quando è arrivato, nel primo pomeriggio, era raggiante.
Mi ha stretto vigorosamente la mano e mi ha sorriso. Ha poggiato a terra il suo bagaglio ed ha estratto il suo tesoro. L’ottava meraviglia. Supertecnologico, completo di tutto. Un gioiello. Quale donna non vorrebbe a casa un aiuto così portentoso! Lava, lucida, spolvera, aspira. “Vero signò?!” continuava a chiedere a mia madre, supplicando conferma. Entusiasmo da vendere.
Ma è caduto al caffè. Si è tolto gli occhialini, ha allentato la cravatta. Sorseggiando ho scoperto che aveva da poco compiuto vent’anni. Voleva fare il geometra, ma era andata male. Ed ora cercava di arrangiarsi per aiutare la madre sola “perché da quando c’è l’euro non si capisce più niente, vero signò?”
Gli ho chiesto se il lavoro gli piacesse e mi ha detto di sì, senza convinzione “perché bisogna adattarsi, non si possono inseguire i sogni, vero signò?”. Mi ha detto che ha imparato a fare buon viso a cattivo gioco: “Io so solo che devo bussare a una porta.” C’è chi apre e c’è chi insulta. Chi dice gentilmente no e chi ti manda a quel paese. “Ma io non ci resto più male. Se vuoi sopravvivere devi diventare insensibile, vero signò?”.
Che triste è adesso. A me tanto insensibile non sembra. “Forse tra una decina d’anni divento pure supervisore, e poi altro che trecento euro al mese e porte sbattute sul muso, vero signò?”.
Il caffè è quasi finito. Meglio risistemare la cravatta a pallini.
Richiude mesto le valigie, l’aspirapolvere ce l’abbiamo già. “Però se vostra figlia si sposa, glielo comprate da me! Vero signò?”
Lazio, promozioni facili e sanità allo sfascio
MARCO MORELLO
Non saranno certo le delibere e i decreti a salvare dal naufragio la sanità laziale, almeno finché quei pezzi di carta carichi di buone intenzioni verranno furbescamente elusi. Come alla Asl Roma E, dove il direttore generale Pietro Grasso ha appena promosso Roberto Ricci a responsabile dell’unità operativa complessa di Cardiologia dell’ospedale Santo Spirito. Una nomina del tutto incompatibile con il piano di rientro approvato dal consiglio dei ministri lo scorso luglio, lo stesso con cui Piero Marrazzo è stato designato commissario ad acta. Dal punto numero uno del documento, infatti, emerge con chiarezza la «razionalizzazione della spesa per il personale, con particolare riferimento al blocco del turn-over e alla diminuzione delle posizioni organizzative e di coordinamento». Un blocco peraltro ratificato in via ufficiale dallo stesso governatore il 2 settembre scorso con un decreto di immediata evidenza: «Sono sospese per l’anno 2008 – si legge scorrendo il provvedimento – le nomine dei direttori di struttura complessa». Anzi, «il numero di tali direttori previsto nelle dotazioni organiche deve essere diminuito del 10 per cento». Ma appena 24 ore dopo il «diktat» di Marrazzo, Grasso ha chiesto una deroga per procedere con la nomina di Ricci e a metà settembre l’ha ottenuta. A sollevare la questione è stato il consigliere regionale Massimiliano Maselli, che sul caso ha presentato un’interrogazione. «La deroga – chiosa Maselli – è un grave atto di irresponsabilità. In un momento così delicato, tali forzature non sono accettabili per nessuno. Ancor meno per Grasso, che è stato convocato per un’audizione in commissione sanità il prossimo 7 ottobre: ho un dossier su una serie di suoi atti che remano tutti contro il piano di rientro». Non solo: sulla liceità della nomina deve ancora pronunciarsi il Consiglio di Stato, visto che un medico si è rivolto al Tar: il bando di concorso per quel posto di responsabile, infatti, è stato pubblicato solo sulla Gazzetta ufficiale e non sul Bollettino della regione. E poi non si capisce perché l’azienda sanitaria, se proprio c’era tutta questa urgenza, non abbia cooptato il primario dell’équipe di cardiologia del San Giacomo che adesso, alla luce della chiusura del nosocomio, dovrà essere ricollocato da qualche altra parte. Non di certo alla Asl Roma E: lì i giochi sono già fatti.