SERENELLA MATTERA
“Studiare allunga la vita”. Ha tanto l’aria di uno slogan da pubblicità progresso. Potrebbe essere l’ultima trovata del ministero per combattere il calo di rendimento della scuola italiana. Una pallida e menzognera imitazione della telefonata che allunga la vita a Massimo Lopez in un vecchio spot. E invece no. Lo dice una ricerca condotta con tutti i crismi della scientificità da un docente dell’università Bocconi: chi ha un titolo di studio basso, licenza elementare o media, vive meno di chi ha conseguito una licenza superiore o una laurea.
La notizia non esalterà la già longeva popolazione italiana, ma è una piccola rivincita per chi da anni si sente sbattere in faccia fior fiore di statistiche che dicono che studiare conviene sempre meno. Soprattutto se si considerano le difficoltà, anche con laurea e master in tasca, a trovare lavoro. Se si pretende di essere pagati per fare qualcosa di coerente con quello che si è imparato, poi, ci sono ottime possibilità di restare delusi: secondo l’Istat, a tre anni dalla laurea solo il 58% ci riesce.
Non magra consolazione, allora, sapere che grazie alla differenza retributiva (per quanto si stia assottigliando, c’è ancora), ma soprattutto grazie al bagaglio culturale acquisito, si riesce ad allungare in maniera sensibile la propria vita. Chi ha un grado di istruzione più elevato, si apprende dalla ricerca della Bocconi, ha anche più facilità a reperire e gestire conoscenze “che regolano positivamente i propri comportamenti riguardo a uno stile di vita salutare e a un più informato accesso alla medicina”.
Risultato? Chi si ferma alla scuola media, vive in media da 7,6 a 5,5 anni in meno se uomo, da 6,5 a 5,3 se donna.