SABRINA PINDO
A pochi metri dai bianchi tavolini del chiosco dove mi trovavo un paio di settimane fa, le onde del mare producevano il loro eterno brusio. Gli altoparlanti della tv, intanto, borbottavano: “La Cina… le olimpiadi… questione dei diritti umani”. Un uomo commentava con la donna che gli sedeva accanto: “I diritti… “. L’improvvisato opinionista era a un tavolo prima del mio e, tra una piadina e un bicchiere d’acqua fresca, proseguiva la sua analisi. “…dei diritti non gliene frega niente a nessuno, questa è la verità”.
Esatto.
Questa è la verità.
Vox popoli vox dei.
Dei diritti, purtroppo, non gliene frega proprio niente a nessuno.
Meglio: la parola “diritti” non comunica assolutamente niente ai non addetti ai lavori. E si viene quindi a creare una spaccatura netta tra la discussione degli edotti e l’interesse della gente.
Ripongo una certa convinzione sul fatto che a chi spetta l’onere di governare, vada molto meglio così.
Ci sono alcune parole che hanno o assumono un significato talmente vasto che non possono essere “tradotte” alla spicciolata. Nel contempo se non le si “traduce”, perché mai proferirle?
Se il termine “diritti” non sarà tradotto dai sostenitori dei diritti umani, verrà presto “tradotto” dai loro avversari.
Un po’ come è successo per la parola “salari”. Chiedete a un quindicenne cosa voglia dire la parola “salari” e magari vi parlerà di un antico modo di conservare il cibo. Dite questa parola anche a un 40enne impiegato… e non riceverete da lui particolare interesse.
Ditela invece ad un vecchio comunista e vedrete che gli brilleranno gli occhi. Si accenderà di passione: la parola “salari” rievoca in lui una lunga serie di discussioni, iniziative, ideali, approcci politici. Per lui è una parola importante.
Ma chi vuole difendere i lavoratori dipendenti oggi, non può più usare la parola “salari” perché non comunica più niente alla gente, che invece dovrebbe essere la maggiore interessata al tema.
E se i sostenitori dei salari non ammodernano il termine ci pensano i detrattori: ed ecco che nei telegiornali appare la fantasmagorica “terza settimana” un termine tutto nuovo, comprensibile a chiunque e che codifica perfettamente il senso di malessere generale ma non lo lega allo stipendio. Suggerisce invece all’ascoltatore che il suo disagio è dovuto a una “condizione generale del mondo” a cui nessuno può porre rimedio facilmente.
Popolo mansueto, meno impicci per chi governa che può più facilmente disinteressarsi delle istanze popolari.
La comunicazione, lo scambio rapido della conoscenza è il punto cruciale per la difesa della democrazia. Se si rinuncia a comunicare con la gente perché la si ritiene “indegna” non si potrà mai avere un mondo dove la ricchezza e la conoscenza sono sempre più diffuse, ma si innescherà inevitabilmente il meccanismo inverso.