FLAVIA PICCINNI
Ci sono scrittori che non hanno epoca, vivono divincolati dal mondo e ne assaporano la realtà, mostrandola in tutta la loro silenziosa sconvenienza. Rileggendo “La grande sera” di Giuseppe Pontiggia (1989, Premio Strega) mi è sembrato di rivedere la storia di quei silenziosi matrimoni che si consumano lentamente come fiamma di candela o avvampano come incendi estivi. Il risultato, nella realtà quasi come nella finzione, è sempre lo stesso: la fine.
Nel quieto e lacerante rapporto fra Mario e la sua compagna ho riletto quei non detti che ammorbano le unioni di Italia e non solo. Ma se nell’unione raccontata dallo scrittore comasco fra i due personaggi c’era un sentimento profondo, i dati che raccontano l’Italia sposata di oggi sembrano poco rincuoranti.
A mettere in crisi i matrimoni americani è bastato il caro-petrolio che ha fatto aumentare le richieste di aiuto a terapisti e matrimonialisti. A mettere in dubbio unioni di ferro nostrane sono sempre più le incomprensioni o terzi incomodi, amanti.
Penso a quante persone divorziate conosco (la maggioranza) e i dati dell’Adoc non mi sembrano più né assurdi né incomprensibili: la durata media dei matrimoni in Italia è di circa 10 anni e solo un 10% delle coppie separate torna insieme dopo molti anni di lontananza. La durata media di un matrimonio è così sempre più breve (7/12 anni), ma se si tratta di un’unione riparatrice si scende a soli 3 anni. I problemi nascono però quando si deve decidere chi deve restare a vivere dove. E se nel corso del matrimonio i coniugi non hanno fatto in tempo a comprare una casa o se ancora il mutuo non è stato estinto, solo raramente la ex famiglia riesce a condividere lo stesso tetto.
In genere mamma e figli (nell’85% dei casi) restano nella casa familiare mentre la quota degli alimenti viene sostituita col pagamento del mutuo. Madre e figli vivono con lo stipendio materno che si attesta, in media, sui 1400 euro. L’ex marito ha invece problemi più seri: il suo reddito medio è di 1800 euro, ma gli restano, dedotto il mutuo, circa 1100 euro. Di fatto ha perso il benessere e ora deve vivere per forza in coabitazione con colleghi di lavoro, con amici o con parenti (a volte persino i genitori). Senza dimenticare tutti i problemi e gli strascichi psicologici che si ripercuotono sui figli, i primi a soffrire di una dolorosa, quanto dispendiosa, separazione di mamma e papà. Poi ci sono le spese minime per le pratiche di divorzio/separazione (circa 4000 euro) e il tempo che bisogna aspettare affinché le pratiche vadano avanti fino a risolversi (separazione consensuale 130 giorni, giudiziale 740 giorni; divorzio consensuale 120 giorni, giudiziale 700 giorni).
Leggo i dati, tutti insieme, e il matrimonio sembra fatto di numeri e non c’è neanche quel sentimento d’odio, profondo e allo stesso tempo leggero, che rendeva assurda, incomprensibile, odiosa e proprio per questo stancantemente realistica la storia di Mario.
al cuore non si comanda ma ai comportamenti che si presuppongono in un rapporto sì
l’ipocrisia è inevitabile. ripeto: al cuore non si comanda
il tradimento non è inevitabile.
…al cuore non si comanda, Flavia: all’inevitabile ipocrisia del tradimento preferisco di gran lunga la sincerità.
Sarà Mariella, ma ancora, a volte, l’egoismo dell’innamoramento viene sacrificato per il valore della promessa e della famiglia. Fortunatamente.
Flavia,lo dice la sociologia e sono molto d’accordo anch’io, si vive troppo a lungo per non sperare di innamorarsi ancora: una sola unione nella vita (matrimonio o convivenza che sia)non basta più.
data l’attuale speranza di vita, ci si potrebbe giurare “amore eterno” almeno tre volte…;-))