CARLO TECCE
La terza carica dello Stato è un po’ come il campo numero due di Wimbledon: lì la tomba (o metamorfosi) politica e personale dei presidenti, là il cimitero dei campioni. Ci sono le eccezioni: Giorgio Napolitano e Luciano Violante sono stati due sobri e stimati presidenti della Camera dei Deputati. In mezzo c’è stata Irene Pivetti, presidentessa a 31 anni, casta e pura, cattolica e devota che, vestita come una sessantenne vintage, consigliava ai colleghi deputati di frequentare le duecento e passa chiese di Roma. Pivetti I.
La Pivetti II si i è fatta fotografare per Gente con autoreggenti nere e frustino sadomaso: «Mi sento sexy come Catwoman, della donna gatto mi piace il lato animalesco…». Poi ha scoperto il lato artistico e, vestita da fatina, ha danzato soavemente a Ballando con le Stelle su Rai Uno.
Il presidente rubino (rosso è stato abolito, ndr), Fausto Bertinotti, dal più alto scranno di Montecitorio ebbe un pensiero degno dei suoi trascorsi da sindacalista: «Dedico l’elezione alla presidenza della Camera alle operaie e agli operai». Meno nobili pensieri albergavano nella testa di sua moglie Lella: «Sono io che tengo l’agenda a Fausto, ed è una faticaccia. Passo i pomeriggi al telefono con gli amici che mi chiedono “dai Lella dammi una data”, “Lella ti prego quando avete un buco?”. E io niente, non so come accontentarli; la prima sera libera è tra un mese». E’ finita con l’uscita delle sinistre dal Parlamento, l’addio alla politica attiva e a Porta a Porta, una mesta conferenza stampa all’Hard Rock Café di Roma, simbolo genetico del capitalismo americano.
Gianfranco Fini è soltanto all’inizio, il delfino di Almirante che aborrisce Almirante, il missino che rinnega il fascismo, l’intellettuale che ha per compagna e madre di suo figlio (Elisabetta Tulliani) l’ex di Luciano Gaucci, il don Giovanni che si conferma. Il «pacco di Fini» al pari del «Lodo Schifani» e del «riporto di Raffaele Lombardo» sarà tema di approfondimento nei corridoi del Parlamento e nei salotti del generone romano. In Italia dove i settimanali di gossip sono le stampe più lette, dove non fa paura il Pil che tira un quinto della Spagna, né la povertà che tira in Calabria, dove ci sono tante famiglie dell’ndrangheta quante antenne paraboliche sui tetti, fa paura la crisi culturale e intellettuale di un Paese morboso e perverso. Che, di nascosto, vorrebbe tanto partecipare alle feste private del Cavaliere – sole donne – il mercoledì (o il giovedì) a palazzo Grazioli.
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