inviati a Catanzaro
» PIETRANGELO BUTTAFUOCOE ANTONELLO CAPORALE
Quando alla tivù, nei quiz, domandano – “qual è il ponte a una sola arcata più grande d’Europa?” – ecco pronta la risposta esatta: Catanzaro.
È il Ponte Bisantis.
Eccolo, ha una sola arcata. È un braccio di calcestruzzo e asfalto che “dalle viscere della città agguanta la periferia”, spiega Angela Sposato, firma di Slow Food, studiosa di filosofia e instancabile agitatrice di idee in città. Capoluogo delle Calabrie dal 1971, messa in alto dove da ogni lato c’è un diverso paesaggio – il Golfo di Squillace di qua, il Tirreno di là e i boschi della Sila in elegante agguato –, Catanzaro è un po’ meglio di come la raccontano. Il Parco dell’Agraria, fiore all’occhiello di Michele Traversa – il presidente della fu Provincia – è così prodigo d’istallazioni d’arte contemporanea, di monumenti eccentrici e prati lindi da far dire, col viaggiatore più smaliziato, “c’è un Nord paradossale nel Sud, e quello è Catanzaro”.
E SOLO UN CATRICALÀ può ben dirlo. Antonio, appunto – già magistrato del Consiglio di Stato, presidente degli Aeroporti di Roma – campione di quel corpus burocratico qual è la sua città, Catanzaro, che tra le vene vive della sua più intima storia, chissà perché oltre a dare all’Italia il nome, dà anche i suoi burocrati migliori.
Tutto merito del Liceo Classico Galluppi.
E del Nord. È Norman Douglas che incontra “le foreste scandinave in Calabria” e Guido Piovene, raggiungendo Catanzaro, dove resta ammirato per la vivacità intellettuale e il gran numero di copie dei giornali vendute come in nessun’altra città al Sud, gode della visione del pino loricato abile a sopravvivere tra i dirupi impervi. Il solito Nord: “Una fantasia settentrionale eseguita con il rigoglio meridionale”. Accanto alla fabbrica dell’immaginario amministrativo, fornace che s’alimenta dalla classe impiegatizia e dai beni dei possidenti, l’altro istinto di città – per dirla con lo storico Piero Bevilacqua, debitore verso Francois Lenormant della definizione di “città vertiginosa” – è nell’edilizia predatoria.
L’ESCREMENTIZIO del cementizio segna lo skylinema – ahinoi – è come in tutto il Meridione.
Floriano Noto, il presidente del Catanzaro Calcio – l’Oscar Farinetti del Sud in un certo senso – non riesce a confermarne uno tra i calciatori venuti da Verona, perché quelli “al momento della firma sul contratto s’accompagnano con le mogli o le fidanzate e queste, magari perché non vedono un taxi o perché non trovano su Corso Mazzini bei negozi, fanno subito marameo”. Noto non sa nulla di pallone, che gli serve però a stabilizzare politicamente la sua figura di imprenditore in crisi di identità. Proprietario dei supermercati a marchio Sidis, quindi connesso al centrodestra, passa armi, bagagli e punti vendita (120 per 350 milioni di euro di fatturato) alle Coop, e tifa centrosinistra. Perde le elezioni e decide la ripartenza: c’è di meglio di una squadra di calcio?
Ci sono le famose rotatorie a Catanzaro, ma anche la funicolare c’è. “Non c’è più Palazzo Serravalle, è stato demolito, non c’è più il Mercato Liberty e i nuovi quartieri popolari, tutti costruiti in regime di monopolio edilizio, hanno assestato colpi mortali al centro storico…”. Mimmo Tallini, consigliere regionale, vecchio capo della destra qui egemone – leghista antemarcia con la sua lista Calabria Libera di vent’anni fa – è come in trance: “Giovino, abbiamo fatto Giovino, è un luogo così bello, con quella spiaggia così lunga, col mare che entra dentro la pineta, col muro ornato dai mosaici di Menghini, dove altro si può trovare?”. “Mi capita d’incontrare una coppia di amici – racconta invece Noto – e mi rendo conto di non vederli da troppo tempo; ‘Ma dove siete stati?” – chiedo loro – e mi dicono: ‘Ci siamo trasferiti da nostro figlio’; ecco, prima se ne partivano i ragazzi e i vecchi restavano, adesso anche questi se ne scappano via e i numeri che leggo attraverso i registratori di cassa, mi confermano l’andazzo: non va da nessuna parte, così, la città…”.
LA CITTÀ NELL’ULTIMO decennio è scivolata verso il mare. Catanzaro Lido, nove chilometri verso est, si è gonfiato di cemento, fin quasi a vomitarlo, mentre il centro sull’altura si è smagrito fino al punto di ischeletrirsi. Negozi chiusi, condomini sbarrati, strade di sera deserte. La migrazione dalla montagna al mare è elemento costitutivo: periodicamente la città ingrassa e poi dimagrisce, anzi deperisce.
Le linee della Ferrovia della Calabria con i treni alimentati a gasolio, a scartamento ridotto, sono attive dal Lido al centro, per poi salire sul quartiere Sala “con una terza rotaia dentata, la cremagliera, dove s’innesta quella dell’automotrice per superare – spiega Angelo Maggio, ultimo di tre generazioni in forza alle ferrovie – l’impossibile pendenza”. Eppure – malgrado le rotaie – l’impossibile traffico intasa gli svincoli che accolgono il pellegrinaggio dell’hinterland verso gli uffici regionali, quelli statali e le strutture sanitarie, un groviglio continuo, un tempo tutto di posti di lavoro e di clientela. Tutto è politica, ma a Catanzaro ancora di più. “Se anche devi comprare un pacco di sigarette – spiega con sapienza da serpe Fabrizio Falvo, avvocato lametino in sosta alla Corte d’Assise – qui non è come in qualsiasi luogo dove chi vuole fumare va dal tabaccaio e prende ciò che vuole. No, si chiama un amico e gli si chiede, ‘conosci qualche tabaccaio?’ Se la risposta è affermativa, ne segue un’altra: ‘Ha votato per l’amico? Se sì, va bene, altrimenti niente’. Sono così a Catanzaro”. Niente sigarette, Brasilena piuttosto, lo squisito “spritz” analcolico di gazzosa e caffè con cui la movida accende, se non lo sballo, il passatempo. Ed è qui che Sposato aggirandosi nello struscio trova il genius loci della città in un non-luogo, anzi, nella cosalità per eccellenza: l’automobile: “Il luogo delle relazioni sociali è l’abitacolo”. “È il vacum loci”, obietta Daniela Palaia, avvocato. Nunzio Belcaro, libraio, conferma: “Catanzaro è la città dove le auto stanno sui marciapiedi e la gente sta per strada”.
CHE TIPO, BELCARO, il titolare della Ubik di Catanzaro Lido. Benemerito, lascia il posto fisso – venditore di Peugeot, dove approntava furgoni per cinesi o li coibentava per i formaggi – per aprirsi una libreria: “Ed è stata, nella mia vita, la scelta più coerente con me stesso; ho potuto finalmente togliermi la cravatta e farmi crescere la barba”. È il posto, Catanzaro, dove ogni libertà – e lo spirito critico – si struttura nella visione. Anche nell’idea che si ha di se stessi. Camilla Pavone, simpaticissima, s’è organizzata una trasmissione tivù a casa sua. Il set è il salotto, l’emittente è LaC, ovvero la Cinq di Catanzaro. E lì, tra le cose proprie, Camilla cucina, si trucca, riceve scrittori, fa talk e, insomma, fa quel che più le aggrada. È, Catanzaro, l’atteso riscatto del Mezzogiorno? Al quartiere Aranceto, che è una piccola Scampia – con molti appartamenti, tra quelli sfondati, abitati da famiglie rom – un marcantonio alto e grosso si fa i giretti con una minimoto. Si fa virtù di tutta quella necessità e infatti c’è la raccolta differenziata, all’Aranceto. Magari un poco più avanti c’è uno sbuffo di discarica e comunque, quando ci si lascia alle spalle il pittoresco e si arriva davanti al palazzo della Regione, a Germaneto – il centro direzionale – quell’edificio, nuovo di pacca, proclama la rappresentazione capovolta: è lontano da tutto, se ne resta solitario, sembra disegnato per Ceausescu. “Sono tornato in città dopo vent’anni trascorsi a Firenze. Felice di questa scelta, ma non c’è dubbio che Catanzaro è peggiorata”. Nicola Fiorita insegna all’università Storia del diritto e delle religioni, ha guidato una lista civica, Cambiavento, attrezzata in pochi mesi, che ha perso senza deludere: “Non siamo riusciti ad andare al ballottaggio altrimenti forse avremmo fatto il botto. Ma il risultato ci dice che una nuova coscienza e consapevolezza esistono in città”. Catanzaro, dove il vento non si stanca mai di soffiare, aspetta e un tantino ancora spera.
Da: Il Fatto Quotidiano, 19 luglio 2018