Il cavillo giuridico può salvarti la vita o anche uccidertela. Dipende chi sei, da dove vieni, a chi ti accompagni, chi ti difende in tribunale. Legioni di boss mafiosi escono dal carcere o neanche entrano grazie alla forma che si fa sostanza, al rito che si converte in legge. E con loro l’Italia impunita conta eserciti di faccendieri, piccoli e grandi evasori, corrotti o estorsori. Ma quel cavillo putrido, nero come la pece, a volte si trasforma in bianco giglio di illibatezza e condanna l’ingenuità e l’innocenza del malcapitato, lo trascina alla gogna.
ha 43 anni ed è – anzi era – professore di Filosofia in un liceo di Bergamo. La sua storia l’ha raccontata Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera. Ed è talmente incredibile da apparire una barzelletta. Undici anni fa, Stefano con un amico prende parte a una festa in piazza ad Averara, un paesino della provincia. Alla fine della festa, dopo l’una di notte, rientrando a casa, sia Stefano che l’amico avvertono il bisogno di liberarsi dalla birra bevuta e non trovando un locale pubblico aperto accostano l’auto al guardrail e, nascosti da un cespuglio, fanno la pipì. Una gazzella dei carabinieri, di rientro dalla festa, arresta la marcia e procede all’identificazione. Cosa fate, chi siete, eccetera.
Continui lei professore.
Illustriamo la necessità fisiologica, loro sembrano convinti, ci dicono di non farla più in luoghi all’aperto e la cosa finisce lì.
Ma l’11 gennaio scorso il dirigente scolastico le notifica il licenziamento.
Quell’incontro con i carabinieri aveva prodotto un processo davanti al giudice di pace, e il giudice aveva comminato una multa da 200 euro ed era seguito un decreto penale di condanna. E io avevo dichiarato, al tempo dell’assunzione in servizio, di non avere condanne. E avevo ragione perché dal casellario giudiziario nulla si rilevava. Quella condanna era però infilata dentro altre carte, e io nulla sapevo, ma per l ’amministrazione pubblica si trattava di un falso ideologico e perciò obbligatoriamente da sanzionare col licenziamento.
Non lavorare più per aver fatto la pipì dietro un cespuglio alle due di notte undici anni prima in un paesino di 182 abitanti.
Appena ho ricevuto la notizia ho, come dire, avuto una percezione alterata della realtà. Ho iniziato a inseguire la mia colpa, a immaginare di doverla trovare a tutti i costi, a non perdonarmi di una simile leggerezza. Non avevo neanche copia della condanna, al quale non ho mai fatto opposizione, non avevo copia della multa, che non mi è giunta e quindi mai è stata pagata.
Non si è mai accorto di essere un delinquente.
Devo a mia moglie Maddalena, alla sua rabbia per una ingiustizia così enorme, l’indignazione che poi ho provato anch’io.
Si è reso conto di aver perso il lavoro.
Abbiamo tre figli di sette, tre e un anno, ed ero l’unico in casa a lavorare. Finora non ho pensato al fatto che la mia vita si complica enormemente. Ma certo l’autonomia finanziaria declina pericolosamente.
Sembra un film.
Sembra un film, sì.
Invece è la prova disumana di come la giustizia può appellarsi a un cavillo per rendere spietato il suo potere.
Non c’è dubbio che la giustizia abbia bisogno di regole per funzionare, ma le sue leggi non devono somigliare a una ghigliottina, una lama ottusa che cade e trancia senza logica e umanità. Sono stato enormemente ingenuo, ma sono del tutto incolpevole. Se pure avessi ricordato quel decreto di condanna il mio lavoro non sarebbe stato intaccato. Voglio dire che non avevo alcun giovamento dal nascondere il fatto. È tutto piuttosto incomprensibile.
Sto pensando a quei carabinieri. Vi hanno visto fare pipì dietro un cespuglio e hanno ritenuto che fosse necessario darvi una legnata.
Io non penso niente. Penso che sia un film.
I suoi studenti le hanno dimostrato stima, l’opinione pubblica si è scandalizzata, in Parlamento ci sono interrogazioni parlamentari a suo sostegno. Sia ottimista.
Resta il potere del cavillo.
Il cavillo che uccide.
Oppure il cavillo che libera.
Dipende da chi sei.
Se fai la pipi dietro a un cespuglio sei fritto per sempre.
Da: Il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2016
Per i parlamentari che cambiano schieramento dopo essere stretti eletti come vedono classificati, anche loro falso ideologico? Se si, perché rimangono in parlamento. La verità è che non chi sono due pesi e due misure, noi in italia abbiamo mille e molte misure e molti ciechi. Sono solidale col professore